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Il giorno di Fini

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Gianfranco Fini

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«Per domani è tutto aperto. L'esito è incerto e non si possono fare previsioni», dice Gianfranco Fini mentre si sistema la coccarda con la bandiera di Israele. Confabula con pochi fedelissimi, tiene sempre al suo fianco la compagna Elisabetta Tulliani, e si intrattiene poco con tutti. È una processione per lui sulla terrazza dalla quale si può godere uno stupendo panorama su Roma. Non c'è dubbio che alla festa per il 62esimo compleanno d'Israele Fini sia considerato ancora e fortemente uno di casa. A Villa Miani è una sfilata di saluti, convenevoli. Il presidente della Camera si intrattiene un po' di più soltanto con Piero Fassino. In sala il clima è diverso. Fa freddo. Gelo politico. Capannelli vari. Schifani parla con Alemanno, poi con Matteoli. Matteoli con Urso. Arriva Berlusconi ma con Fini si incontrano solo sul palchetto. Uno, il Cavaliere, si va a sistemare alla sinistra dell'ambasciatore israeliano Gideon Meir, dietro di lui Gianni Letta e Piero Fassino, alla sua sinistra Roberto Maroni e Renata Polverini. L'altro, Fini, con la compagna sul lato opposto con Schifani e Alemanno. L'uno, Berlusconi, guarda fisso davanti a sé in basso, nessuna smorfia, gli occhi piccoli e quasi chiusi di quando non è allegro. L'altro muove continuamente le gambe, si alza un po' sulle punte come se fosse insofferente. Non si guardano mai, si ignorano beatamente. Appena Berlusconi finisce di parlare e resta a fianco dell'ambasciatore ad ascoltare l'intervento di Fassino, Fini scende velocemente i gradini del palco, beve un prosecchino tutto d'un fiato e va via prima che suoni l'inno nazionale. Ma è un dettaglio. C'è chi fa notare che l'aver ascoltato tutto Berlusconi è un segno di distensione oltre che di rispetto istituzionale. Il co-fondatore del Pdl si prepara piuttosto sereno al discorso decisivo alla direzione nazionale di oggi. Ascolterà Berlusconi (che aprirà e chiuderà i lavori), i coordinatori e i ministri. I temi non dovrebbero essere molto diversi da quelli che sono stati sollevati in questi mesi. Ricorderà che è vero che il Pdl ha vinto alle scorse elezioni e ha strappato ben quattro Regioni al centrosinistra (tra l'altro con due candidati a lui graditi come Polverini e Scopelliti). Ma sottolineerà come è andato disperso comunque un milione e mezzo di voti. Ricorderà che è vero che il governo ha lavorato in maniera decisa sul fronte della sicurezza ma che troppo spesso ha seguito la Lega, i leghisti, il leghismo, la deriva nordista. E si soffermerà sul Sud abbandonato da una seria politica che ne affrontasse i nodi strutturali. Parlerà dei giovani, di una politica che non li ascolta, del welfare inclusivo che sappia tenere conto delle giovani coppie. Sarà un discorso alto, questo è certo. Come lo fu quello del congresso del Pdl di un anno fa. Stavolta però ciò che farà la differenza non saranno i temi ma i toni. Se sarà provocatorio rischierà i fischi e si scivolerà verso la rottura. Al momento Fini non sembra intenzionato a presentare un suo ordine del giorno, che sancirebbe la nascita della minoranza che Berlusconi non intende riconoscere. Ma la reazione della sala dell'Auditorium Conciliazione potrebbe far tracimare tutto. Fini e Berlusconi non si sopportano più ma sanno che la rottura non conviene a nessuno dei due. Non vogliono fare pace ma aspettano che sia l'altro a commettere un errore irrimediabile in modo da addossargli la colpa. Oggi potrebbero sancire una tregua. Ma quanto durerebbe ancora?

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