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Fini si accontenta del manipolo di fedelissimi

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

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Gianfranco Fini dice di essere soddisfatto. Ha raccolto attorno a sé i 52 parlamentari che aveva calcolato di avere e con quelli accetta di andare alla sfida con Berlusconi domani alla direzione nazionale del Pdl. Nel suo intervento cita Ezra Pound: «Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui». Ergo: «Io non ho intenzione di togliere il disturbo né di stare zitto. Mi auguro che Berlusconi accetti che esista un dibattito interno al Pdl». Che si voglia chiamarla corrente, componente di minoranza o gruppo dei fedelissimi, la «pattuglia» dei finiani si accoda dietro al leader di un tempo, ne riconosce la legittima ambizione a porsi come guida, a dire ciò che pensa. Anche quando questo porre «questioni politiche e mai personalistiche» è in dissenso rispetto al Capo e alla maggioranza. Ai finiani – 39 deputati, 13 senatori, 5 europarlamentari ed altri che hanno annunciato una possibile adesione – basta che tutto avvenga dentro il recinto del Pdl e «con spirito costruttivo», cosa che Fini assicura, accantonando sbrigativamente l'ipotesi di gruppi parlamentari autonomi, che pure lui stesso aveva posto come extrema ratio nell'ultimo burrascoso colloquio con Silvio Berlusconi. «Le categorie del tradimento sono tali - si spiega a metà oggi Fini - che da un anno e mezzo un autorevole esponente del governo in Sicilia ha costituito il gruppo Pdl-Sicilia, che convive con il Pdl. Se invece qualcuno ipotizza che accanto al Pdl possa nascere Pdl-Italia, diventa tradimento». E ancora: «Chi ha interpretato il mio pensiero in questi giorni parlando di scissioni o di elezioni anticipate ha solo incendiato il dibattito». Inoltre dimostra, numeri alla mano, che è falso ciò che qualche colonnello ha voluto far credere al Cavaliere: solo «quattro gatti» seguiranno i passi della terza carica dello Stato. Non sono 4 ma 52. E comunque un numero sufficiente a rendere un'inferno la vita parlamentare di un partito dove almeno alla Camera (dove Fini è presidente) ogni volta ci sarà da discutere su provvedimenti che non fanno parte del programma di governo. A mettere la loro firma in calce al documento pro-Fini sono stati 39 deputati, 13 senatori e cinque europarlamentari. La loro «rendita di posizione» è cospicua alla Camera dove, in teoria, potrebbero far andare sotto il governo. A Montecitorio il centrodestra dispone infatti di 344 voti, 29 in più dei 316 che costituiscono la soglia della maggioranza assoluta. Se i 39 finani decidessero di sfilarsi (e hanno già fatto sapere che sulle questioni non oggetto del programma del Pdl voteranno liberi da vincoli), il centrodestra si ritroverebbe a quota 305, quindi undici voti sotto il limite di sopravvivenza. Al Senato, invece, la corrente di Fini dà meno noia. I 13 senatori, sottratti ai 178 parlamentari della maggioranza, non farebbero scendere il Pdl sotto la linea rossa della maggioranza: Pdl, Lega e Mpa avrebbero pur sempre 165 voti, tre in più di quelli necessari per garantire la sopravvivenza del governo.

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