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Ultima offerta. Poi basta

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La politica è l'arte del compromesso e spesso dell'impossibile. Ieri abbiamo visto l'uno e l'altro. Silvio Berlusconi s'è armato di pazienza e a un'azione scomposta di Gianfranco Fini ha risposto come un politico di lungo corso. Al presidente della Camera sarà data un'ultima possibilità di fare la sua parte nel Pdl, non contro il Pdl. Poi basta. La mutazione politica di Fini è legittima, si può cambiare idea. Ma non si può confondere un percorso personale con quello collettivo. Fini ha idee diverse rispetto a quelle che sosteneva in passato, i suoi uomini - quelli che lui ha scelto - conservano invece le idee di An che poi sono entrate a far parte del dna del Pdl. Il partito del premier non ha cambiato codice genetico, Fini sì. Il problema è tutto qui. Berlusconi poteva pigiare il pulsante e catapultare Fini nell'iperspazio. Non l'ha fatto e spero non debba pentirsene. La direzione nazionale di giovedì cercherà di trovare una soluzione collettiva a un problema che in realtà è personale o, volendo esagerare, di pochi intimi.   In un altro contesto - e con un leader meno buonista di Berlusconi - il tema non sarebbe entrato neppure nell'ordine del giorno. Un presidente della Camera eletto con i voti del centrodestra che pensa di costituire gruppi politici autonomi in Parlamento è un fenomeno paranormale, non politico. Berlusconi gli darà un'ultima possibilità perché alla fine in lui prevale l'ottimismo. Il Cavaliere non ha mai cacciato nessuno dei suoi collaboratori, figurarsi se comincia con Fini. Sarà lui, il presidente della Camera, a decidere se fare futuro nel Pdl o uscirne. Ha minacciato di costituire dei gruppi politici autonomi? Può farlo, ma le conseguenze sono chiare: è una scissione in piena regola, un mutamento del quadro della maggioranza e l'esito finale va dritto alle elezioni. Lui, l'uomo che dallo scranno di Montecitorio predica una politica di condivisione e responsabilità nei confronti del Paese, con una scelta del genere finirà nell'album degli sfascisti, in compagnia degli odiatori di professione e di una combriccola politica che gli elettori hanno respinto.   Fini rivendica peso nel partito e democrazia. Lui, che aveva azzerato il dibattito dentro An, dimentica che i partiti si governano con l'autorevolezza, la credibilità, la continuità degli ideali, lo spirito costruttivo. Fini considera un dettaglio il suo ruolo. Non è quello di capo di una fazione: è il Presidente della Camera e non può di volta in volta decidere i panni da vestire. O guida Montecitorio o si mette al coordinamento del partito. Berlusconi su questo è chiaro e dentro corretti rapporti istituzionali: «Fini non può pretendere di fare l'uomo delle istituzioni, super partes, e poi stare dentro il processo politico». Le motivazioni di Fini, agli occhi del premier appaiono prive di fondamento: «Non siamo appiattiti su Bossi, noi abbiamo ventuno ministri, la Lega ne ha solo tre e all'Agricoltura ci è andato Galan». E sugli attacchi alla politica tremontiana alza la diga: «La politica del rigore è stata saggia, guardate cosa accade in Grecia. Dimenticano che l'Italia quest'anno ha 250 miliardi di titoli del debito pubblico da rinnovare». Cosa muove Fini allora? Il Pdl che non lo coinvolge nelle decisioni, ma Berlusconi ricorda sempre che «Ignazio La Russa è un suo esponente e lo informa di tutto» e sulle nomine sarebbe semmai il Cav a doversi lamentare. La sua candidata alla Regione Lazio era Luisa Todini «un'imprenditrice tosta», ma Fini ha chiesto e ottenuto la Polverini. Peccato che in campagna elettorale sia stato Berlusconi a sostenerla e a metterci «la faccia fino in fondo».   In Puglia il leader del Pdl aveva «suggerito un accordo con la Poli Bortone», il niet di Fini ha prodotto un pasticcio e Silvio aveva visto giusto: «Così perdiamo». Detto, fatto. In realtà Fini vorrebbe una diarchia nel Pdl, una coppia che decide tutto e azzera i quadri intermedi. Impossibile perché non è nelle corde di Berlusconi la gestione della minutaglia, delle nomine. Lui governa, Fini fa l'arbitro ma vorrebbe anche fare l'attaccante. Cosa succederà? Fini ha due strade. La prima: sfascia tutto, fa i suoi gruppi e diventa scissionista. La seconda: accetta l'ultima offerta di Silvio e ricomincia il suo can can quotidiano. La prima scelta è difficile perché non sembra avere i numeri per fare i gruppi, ha dalla sua solo nove senatori e diciotto deputati. Se restiamo nel campo della logica politica e non dell'irrazionalità, gli resta una sola opzione: andare giovedì in direzione e presentarsi come il leader di una minoranza rumorosa. A Berlusconi serviranno due cose: tanta pazienza e un paraorecchi.  

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