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Il presidente della Camera resta solo

Pierluigi Bersani

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Uno ha il suo bel da fare con gli scontri interni al suo partito. L'altro è appena tornato dalle Maldive, resta in silenzio, ma lancia segnali attraverso Lorenza Cesa. Il terzo tace e basta. Chi si aspettava commenti entusiasti dall'opposizione sulla frattura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini rimarrà deluso. L'unico ad esporsi pubblicamente è stato Antonio Del Piero. Ed è tutto dire. Insomma il presidente della Camera non trova sostegno al di fuori dei confini del Pdl. Almeno ufficialmente. Pier Luigi Bersani, Francesco Rutelli e Pier Ferdinando Casini fanno gli spettatori. Magari interessati, ma per nulla disposti a sporcarsi le mani.   L'unico che si entusiasma un po' è il leader del Pd, ma solo perché forse spera che i contrasti all'interno della maggioranza lo aiutino ad uscire dal pantano democratico. E infatti, mentre nei Palazzi della politica qualcuno dice che, qualora a Fini mancassero un paio di deputati e senatori, questi potrebbero arrivare dal Pd, Bersani prova a lanciare «una convergenza repubblicana». «Qui non si tratta di tifare - spiega - ma di chiarire quali sono le prospettive. Se è in discussione una prospettiva istituzionale e costituzionale, noi facciamo appello a tutte le forze che non accettano una deriva plebiscitaria del nostro impianto». In cosa consista questa «convergenza» è tutto da capire. Anche perché, basta nominare Fini per far implodere il Pd. Succede a Valmontone dove Massimo D'Alema e Dario Franceschini si trovano faccia a faccia ad un convegno organizzato dei Liberal di Enzo Bianco. Il primo, grande sponsor di Bersani, la butta lì: bisogna rompere le gabbie che stringono le forze politiche superando l'attuale bipolarismo e rimescolando le carte. In tal senso il dialogo con Casini e Fini è naturale evoluzione. Ma Franceschini non ci sta: «Fini è un avversario che cerca di costruire una destra normale e non sotto padrone, ma resta pur sempre un avversario». Niente male per un partito che oggi affronta la direzione nazionale, prima resa dei conti vera dopo le sconfitte delle Regionali e delle amministrative. Se Fini spera di trovare una sponda nel Pd, quindi, può mettersi l'anima in pace. A largo del Nazareno si è a un passo dall'ennesima e dura battaglia tra correnti e non serve di sicuro aprire un nuovo fronte. Ma il presidente della Camera deve rinunciare anche all'appoggio di Rutelli e Casini. E questa è di per sé una notizia visto che Pier, Gianfranco e Francesco venivano considerati da molti come le tre gambe del post-Berlusconi. Invece da Alleanza per l'Italia non arrivano commenti su quanto sta accadendo. Non una critica, non un applauso. E quando si domanda se la pattuglia rutelliana di senatori (4) e deputati (8) possa andare ad ingrossare le file finiane la risposta è un secco e deciso no. «In futuro - spiega l'ex Idv Pino Pisicchio - potrebbe esserci una collaborazione più generale. Ma parlarne adesso è prematuro anche perché non si sa ancora bene cosa abbia intenzione di fare Fini. E comunque non potrebbe mai nascere un gruppo comune abbiamo un'identità distinta». E l'Udc? Casini non parla. Al suo posto si espone Lorenzo Cesa che commenta: «Seguiamo con rispetto e attenzione la verifica interna al Pdl e non vogliamo interferire nella discussione politica in corso. Facciamo semplicemente notare che si sta verificando esattamente quello che abbiamo detto due anni fa, a a partire dall'ipoteca che la Lega ha messo sul governo della nazione». Un modo delicato per togliersi qualche sassolino dalle scarpe facendo però intendere chiaramente che l'Udc non ha stretto accordi con nessuno e non si presterà a manovre a sottobanco. Insomma se Fini voleva misurare la sua capacità contrattuale al di fuori del centrodestra ha avuto una risposta chiara. Finché c'è Berlusconi per lui non c'è spazio.  

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