La metamorfosi di Fini

Dall'eredità del Msi all'approdo nel novero degli esponenti di punta delle destre europee come Nicolas Sarkozy o David Cameron. L'itinerario politico di Gianfranco Fini negli ultimi tre lustri ha consolidato il ruolo politico di una destra moderna con l'ambizione di essere riformista, cancellando la conventium ad escludendum denominata "arco costituzionale". Il percorso di Fini fino alla candidatura nel 1993 a sindaco di Roma affonda in pieno le radici nell'almirantismo. La svolta è nel successo elettorale del Msi nelle amministrative della Capitale (arrivò al ballottaggio e perse contro Francesco Rutelli) e del comune di Napoli. Con la variabile Berlusconi. L'imprenditore milanese, il 23 novembre 1993 da Bologna, annunciò: «Se fossi a Roma, certamente voterei Fini sindaco». Il dado era tratto. A dispetto dei giudizi tranchant di eminenti osservatori politici, iniziò lì il cammino della destra verso il governo del Paese, con l'inattesa alleanza tra i postfascisti, i federalisti spinti di Umberto Bossi e il Cavaliere nero, come lo ribattezzò immediatamente la stampa di sinistra. Figlio di un reduce della Rsi, Fini si avvicinò al Movimento sociale per reazione all'intolleranza dei gruppi di estrema sinistra. Nel 1977 divenne segretario del Fronte della gioventù. Suoi avversari erano gli eretici della Nuova Destra, corrente metapolitica capeggiata da Marco Tarchi, dalla quale proviene anche uno degli intellettuali più vicini al presidente della Camera, Umberto Croppi. Negli anni ottanta assurge al ruolo di esponente di punta del partito (deputato dall'83), grazie all'intuizione almirantiana di far rappresentare la propria comunità politica ad un giovane che anagraficamente potesse segnare una cesura con la generazione che aveva vissuto il fascismo storico. Nel 1987 Almirante lo indica come suo successore alla segreteria nazionale. E proprio in quel periodo alla guida del Secolo d'Italia c'è un intellettuale controcorrente e fino ad allora senza tessera di partito, Giano Accame, che favorisce il netto distacco della destra italiana da posizione xenofobe, anche con campagne giornalistiche ad effetto. Memorabile il titolo a nove colonne "Solidarietà", sopra la foto di Fini con una bambina immigrata della periferia della Capitale in braccio. La caduta del muro di Berlino, insieme all'uragano Tangentopoli, rivoluzionano il quadro nazionale. Complice l'inventiva del suo portavoce del tempo, Francesco Storace, il segretario del Msi sfrutta al meglio i varchi aperti nel sistema partitocratico dalle picconate del presidente della Repubblica Francesco Cossiga. I successi alle amministrative del 1993 in tanti piccoli comuni sono il segnale di un disgelo. L'appoggio di Berlusconi alle comunali di Roma il primo passo della costruzione di una alleanza che governerà il Paese dal 1994 al 2010. Fini si avvale fino al 1998 dell'abile lavoro diplomatico di Giuseppe Tatarella. Il "vicerè delle Puglie" non solo prepara la svolta dal Msi ad Alleanza Nazionale, ma tesse e disegna le raffinate trame attraverso le quali fornisce alla destra italiana un profilo culturale che possa assommare oltre al retaggio postfascista anche l'area cattolica e quella liberal-nazionale. A latere dell'alleanza con Forza Italia, il leader di An si impegna nel rafforzare il suo profilo europeo, attento all'evoluzione del popolarismo e del conservatorismo in Germania, Inghilterra e Francia, anche sulla spinta dell'incarico di ministro degli Esteri che ricopre dal 2004 al 2006. Con il traballare del governo Prodi e le imminenti elezioni politiche del 2008 i rapporti con Berlusconi tornano ad essere caratterizzati da forti fibrillazioni post-predellino. Poi la svolta, con l'adesione alle liste unitarie del Pdl e la fondazione del nuovo partito, nel quale si candida a svolgere il ruolo di anima critica.