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Il Carroccio se ne infischia

Il leader della Lega, Umberto Bossi

Tra i 2 litiganti ride Casini

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L'Umberto presenta il conto: «Una fetta di banche», assessorati chiave in Lombardia e Veneto, un sottosegretario al dicastero delle Politiche Agricole dove a ore dovrebbe insediarsi il neo ministro Giancarlo Galan. È il vincitore incontrastato delle Regionali, ha fatto incetta di voti ovunque avesse deciso di candidarsi e ora pretende di avere la propria parte di bottino. Non l'avesse mai fatto. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il presidente della Camera non c'ha più visto e ha sfogato tutta la sua insofferenza addosso al premier, reo, secondo Fini, di essersi appiattito sulla Lega indebolendo in questo modo il Pdl che doveva rimanere la forza trainante del centrodestra. Ma al Senatùr le critiche non interessano. Lui va avanti per la sua strada e ironizza: «Chi è intelligente - commenta passeggiando a pochi metri di distanza dalla stanza di Montecitorio dov'è in corso il pranzo tra Berlusconi e Fini - ha capito che abbiamo vinto tutto». E così, dopo essersi autoproclamato «terzo incomodo» (come dice a chi gli chiedeva come mai non avesse partecipato al pranzo), si pone come osservatore esterno. I problemi tra fondatore e cofondatore del Pdl non lo toccano minimamente. Si chiude in una sorta di «no comment» così come fanno tutte le prime linee del partito. Bocche cucite, ma i commenti delle retrovie sono quanto mai eloquenti. «Fini sta stancando» commentano alcuni parlamentari leghisti man mano che le agenzie di stampa annunciano gli sviluppi dello scontro. «Vuole fare il suo gruppo alla Camera e al Senato? Lo faccia. Ma quanti lo seguiranno? Una decina al massimo. Noi continueremo a governare lo stesso». Proprio non gli perdonano di essere per l'ennesima volta il guastafeste all'interno della maggioranza. E continuano: «Si dimetta dalla sua carica. Non ci ha mai sofferto, non si è mai rassegnato a vedere che al Nord il nostro partito ha conquistato tutto l'elettorato di An e ora pretende che Berlusconi giri le spalle a Bossi che è il suo più fedele alleato. Ma figuriamoci». L'impressione è quindi che stavolta l'offensiva finiana rischia di essersi spinta oltre la linea del non ritorno e, se questo dovesse sfociare in una crisi di governo, la Lega rischia di dire addio al federalismo e a tutte le altre riforme obiettivo strategico della legislatura. Un'ipotesi che i peones del partito non prendono nemmeno in considerazione ma che, se dovesse accadere, non li spaventerebbe: «Se si dovesse andare al voto il Carroccio verrebbe ancora più premiato. Cosa che invece non accadrà a Fini, ormai ritenuto il cospiratore del centrodestra».

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