Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

L'ombra del complotto Eliminati i nemici di Mosca

Un bimbo depone fiori in memoria del presidente polacco morto nell'incidente aereo in Russia

  • a
  • a
  • a

 «Tranquilli, è come nuovo», avevano assicurato i tecnici della Tupolev dopo la revisione completa del Tu-154 negli hangar russi di Samara. E nel riconsegnare, tre mesi fa, l'aereo di Stato ai polacchi avevano accluso anche una garanzia di cinque anni. Dovevano fidarsi, quelli di Varsavia. I problemi strutturali del jet fabbricato nel 1990 erano da considerarsi risolti: mai più il presidente avrebbe volato con il cuore in gola, come quella volta in Mongolia quando il timone si era misteriosamente bloccato, per fortuna a terra, o quell'altra a Seul quando per poco una turbolenza non aveva tirato giù, come uno schiaffo del cielo, Kaczynski e i suoi collaboratori. Lech considerava quel Tupolev una sorta di amuleto: prima di lui, ci avevano viaggiato Jaruzelski, Walesa e Kwasnievski, e a dirla tutta non c'erano i soldi per comprare una nuova flotta di rappresentanza. Così, avrà probabilmente contato sul suo stellone, quando nella nebbia mattutina che avvolgeva la ridicola pista di atterraggio militare di Smolensk, non avrà obiettato alla valutazione dei suoi piloti: si doveva scendere a tutti i costi, perché ne andava anche dell'immagine della Polonia. Già era stato seccante vedere, tre giorni prima, il premier suo avversario politico, Donald Tusk, ricevuto con tutti gli onori da Putin, mentre lui ora arrivava con la delegazione al completo, ma senza incontrare le autorità russe. Dall'oblò tentava di osservare vanamente il paesaggio: sessant'anni dopo Katyn, lo spirito dell'odio era l'unica cosa sopravvissuta, lì nella foresta dove Stalin aveva compiuto la mattanza degli ufficiali polacchi. I suoi espertissimi aviatori avranno deciso di provarci per quattro volte, incuranti delle grida della torre di controllo, che suggeriva un cambio di rotta verso Minsk o Mosca. Di suo, il presidente Lech avrà pensato che non ci si poteva sobbarcare - e con una delegazione così numerosa - un lungo trasferimento in auto fino al luogo della commemorazione, e avrà dato il suo assenso.   Del resto, quando era bambino, aveva recitato con il fratello Jaroslaw nel film "I gemelli che rubarono la luna": poteva mica far paura un po' di foschia? Poi è andata come ci raccontano: un'ala del Tupolev si è incastrata contro le cime degli alberi, e la fine è una fusoliera di alluminio disintegrata dal legno. Sì, dev'essere andata così. Nessun complotto, anche se i polacchi non sono mai sicuri di nulla, quando ci sono di mezzo i russi. A Varsavia erano già convinti che a provocare l'incidente aereo del 1943 in cui aveva perso la vita il premier Sikorski (quello che aveva chiesto la verità su Katyn) fossero stati proprio i sovietici. Figurarsi adesso, con l'inchiesta sul disastro di Smolensk in mano a Putin e con un primo esame delle scatole nere che non evidenzia alcun «guasto tecnico». Il Tupolev era stato controllato da cima a fondo dai costruttori, che diamine.   Ma i dietrologi insistono: un altimetro è facile da manomettere, confondendo le idee di chi è costretto a navigare a vista. E se non si vede a un palmo dal naso, per individuare la pista serve un rilevamento radar a terra. Che a Smolensk non c'era. Quanto all'area caucasica dove è avvenuto lo schianto, lì da sempre imperversa la guerra elettronica. Basta un'interferenza provocata ad arte, una falsa comunicazione di dati tra chi è a bordo e una presunta "torre", e il gioco è fatto. Nessuno poi, tra quelli che accolgono la tesi della cospirazione, valuta pienamente attendibili le testimonianze oculari dei soldati dell'aeroporto. Semmai, ci sono quelle di un gruppo di bambini che stavano andando a scuola: intervistati da una tv hanno detto che quell'aereo volava molto, troppo basso. Poi c'è il particolare delle "due esplosioni": quando sono avvenute? Prima o dopo il contatto con gli alberi? E nel secondo caso, nel serbatoio del Tupolev c'era carburante a sufficienza per provocarle? A giudicare dalle immagini, i rottami sono davvero frammenti, a parte i reattori e parti delle ali. Roba che ricorda gli aerei "spariti", disintegrati dopo i possibili impatti al Pentagono e nel bosco di Shanksville, in quell'11 settembre che cambiò la Storia dell'umanità. Ma chi poteva aver interesse a ordire un attentato contro Kaczynski per mettere in ginocchio una Polonia sull'orlo della bancarotta? Qualcuno ricorda l'appoggio del presidente al suo omologo georgiano Saakashvili nella guerra contro i russi, altri segnalano l'accordo per la costruzione di un gasdotto in grado di affrancare la Lituania dalle forniture di Mosca. E nessuno ignora il protocollo siglato poche settimane fa tra Varsavia e Washington per il posizionamento in Polonia dei missili balistici Patriot. Putin e Medvedev non ne erano affatto contenti.  

Dai blog