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Berlusconi vuole un governo forte

Silvio Berlusconi all'assembea degli imprenditori a Parma

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L'Italia non è un Paese in declino, ha retto meglio di altri alla crisi, ha capacità e risorse per andare avanti. E se il governo ha già fatto molto fino ad ora, tanto da metterlo nero su bianco in un libro appena pubblicato, molto si appresta a fare nei prossimi tre anni che restano di legislatura, a partire dal fisco, dove occorre «disboscare una selva» di leggi. Il giorno dopo il vertice bilaterale di Parigi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si presenta alla platea di imprenditori riuniti da Confindustria a Parma. E lo fa con un atteggiamento di pacato ottimismo. Non usa toni enfatici perché, dice , «abbiamo consapevolezza di tutti i gravi problemi che ci affliggono», ma ci tiene a precisare: «nel 2009 e nel 2010 siamo stati in grado di ostentare un deficit pubblico contenuto», il calo del pil dello scorso anno è stato «simile a Germania, Gran Bretagna e Giappone, ma molto inferiore rispetto ad altri Paesi dell'Ue». Inoltre, sprona alla fiducia, al «coraggio che da sempre caratterizza gli imprenditori», al gusto della sfida. Ventitrè applausi in cinquanta minuti di intervento (Bersani il giorno prima prima ne ha preso solo uno). Un discorso che però non scalda più di tanto la platea, anche quando, ricordando il difficile periodo attraversato, afferma: «è merito vostro se l'economia ha tenuto». Anche a Parma parla di riforme a tutto campo: istituzionali, della giustizia e fiscale. Il premier parte dalla constatazione che «nella nostra costituzione l'esecutivo non ha nessun potere» e sa di non poter ulteriormente rinviare l'azione di modernizzazione del Paese. Ritardi ulteriori, infatti, non sarebbero compresi, dopo i proclami delle ultime settimane e gli inviti rivolti in tal senso anche dal presidente della Repubblica. Forse proprio per questo il premier sottolinea che parlerà con tutti per trovare una convergenza sulle riforme ma poi aggiunge che il suo Governo «ha una maggioranza solida e coesa» e, soprattutto, «ha i numeri per far approvare dal Parlamento un programma di riforme che i Governi precedenti non hanno mai potuto fare». Un messaggio che sembra rivolto a quella parte del centrodestra che chiede di discutere i modelli a cui ispirarsi e la scaletta delle priorità. Non c'è spazio però per le polemiche sulla diversità di vedute con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a proposito della legge elettorale da applicare nel caso si opti per il sistema presidenziale alla francese. Berlusconi non fa alcun riferimento al doppio turno o ad altre formule elettorali ma solo una battuta nei confronti del «piè veloce ministro Calderoli» che ha portato «per cortesia» la bozza delle riforme a Napolitano. Il Cavaliere evita qualsiasi scontro, apre al dialogo: «Ci metteremo tutto il buon senso», spiega agli industriali «per sentire tutte le voci da qualunque parte vengano, terremo in considerazione gli imprenditori». Chi lo ascolta pensa al fisco. «È urgente e difficile», ammette il premier rassicurando: «Disboscheremo la selva delle leggi fiscali per arrivare ad un codice». Va oltre: «Stiamo lavorando per liberare l'Italia da oppressione fiscale, burocratica e giudiziaria». A sorpresa, proprio quando il Cavaliere tocca il tema della giustizia, riceve un caldissimo applauso dalla platea. L'attacco del premier a «certa magistratura» e alla Corte costituzionale è ancora una volta durissimo: quella della giustizia «è una situazione grave», con la Consulta «che da organo di garanzia è divenuto organo politico» perché «abroga le leggi che non piacciono ai pm e ai giudici di Magistratura Democratica» in quanto «formata da 11 membri che appartengono alla sinistra e 4 alla destra». Dopo aver fatto un riconoscimento pubblico al ministro Tremonti, «grazie al quale abbiamo tenuto in ordine i conti», termina il suo intervento, e il premier si siede in prima fila. Tocca ad Emma parlare «io la ascolterò molto attentamente».  

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