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Silvio riapre la porta a D'Alema

Massimo D'Alema

E Fini prova a rientrare in gioco

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Massimo D'Alema esce dall'aula e si imbatte in Stefano Passigli. È metà mattinata, giovedì prima seduta (che molti giudicano inutile) del dopo Pasqua. In Transatlantico le vacanze non sono ancora finite, non c'è nessuno. Passigli e D'Alema si conoscono bene, da lunga data. Parlottano. In verità è più l'esperto di riforme istituzionali a parlare e Baffino ascolta. Ascolta. Ascolta. Mette le mani in tasca nel bel mezzo della guida rossa che attraversa il celebre salone della Camera e ascolta. Poi si lascia scappare poche parole: «Noi non siamo pregiudizialmente contrari al semipresidenzialismo». Passigli insiste, s'agita. D'Alema lo rassicura: «Non ci staremo a un'ipotesi cucita addosso a una persona, questo è chiaro». Quindi si mostra preoccupato: «Bisogna vedere se un presidente eletto dal popolo piace al Nord, non so quanto la Lega riesca a tenere». Non è tanto e non è poco. D'Alema c'è. Ci sta. Vuole essere della partita. Di recente, dal pulpito della presidenza del Copasir (il Comitato di controlo sulla sicurezza nazionale), s'è ritrovato anche ad avere una certa consuetudine con Gianni Letta che sui servizi ha la delega del governo. E il messaggio è arrivato forte e chiaro a Palazzo Grazioli. Dove Berlusconi ha scelto la linea. Non userà mediatori nella partite delle riforme. Anzi, ha preso sotto braccio il dossier, ha avocato a sé tutto e sembra convinto di voler trattare direttamente. Non a caso, appena tornato a Roma subito dopo il successo delle Regionali, è salito sul Colle. Ha ristabilito un contatto con Giorgio Napolitano. E l'altra sera, parlando a cena con alcuni senatori, ha detto che «bisogna andare avanti speditamente sul testo che riguarda le intercettazioni telefoniche» ma allo stesso tempo «terremo conto delle osservazioni del Quirinale». Forse è presto per parlare di un asse Berlusconi-D'Alema, anche se la direzione sembra quella. Ma non è azzardato invece vedere una certa sintonia tra Quirinale e Palazzo Chigi. E infatti nel pomeriggio il Capo dello Stato, al termine di un incontro con il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, auspica «passi in avanti nella direzione delle riforme» con «la condivisione necessaria e senza disperdere le occasioni». «La conclusione di questa legislatura e del mio mandato non debbono farci trovare di fronte a una legislatura sprecata», aggiunge il presidente della Repubblica. Napolitano benedice. E anche questo non è un caso. Ieri ha incontrato Luciano Violante, uomo considerato vicino a Baffino. Ma soprattutto la sua fondazione, Mezzogiorno-Europa, lavora da mesi a stretto contatto con quella di D'Alema, Italianieuropei, di cui Passigli è assiduo collaboratore. Che il movimento delle rispettive truppe sia questo lo si evince anche dalle parole di un altro uomo solitamente sempre in grande sintonia con il Colle, Gianfranco Fini. Che, un po' escluso in questi giorni, ha provato a ritornare in partita approvando il semipresidenzialismo tanto caro a Berlusconi per ricordare che sarà possibile metterci mano solo se si interverrà anche sulla legge elettorale. E qui si entra nel merito delle questioni. Va bene parlarsi, anche se in tutto l'agitarsi di questi giorni c'è molta pretattica. Ma poi mettersi d'accordo su cosa? D'Alema, è ormai chiaro, vuole anche la riforma della legge elettorale. E si tratta di una richiesta che ha un senso ma che complica la partita. E che porterà a una inevitabile rottura dentro il Pd, visto che le due anime più forti si battono l'una per il ripristino del sistema uninominale e l'altra per il proporzionale di tipo tedesco. Modello che piace a Pier Ferdinando Casini al quale Berlusconi ha teso la mano, e anche questo non è un caso, l'altra sera. Mano parzialmente accolta da Lorenzo Cesa: «Che il presidente Berlusconi, dopo una campagna elettorale fatta di duri attacchi nei nostri confronti, cerchi ora un dialogo con l'Udc non possiamo che ritenerlo un fatto positivo». D'altro canto ai suoi il Cavaliere non ha neppure escluso un ingresso dell'Udc nel governo: con Casini vuole un'intesa complessiva, non su singoli blocchi. Si muove Berlusconi. Si muove e se la gode. Spiega un suo fedelissimo: «Ha vinto le elezioni, il partito ha funzionato sul territorio ed è tutto con lui, l'intesa con Bossi va alla grande. Il capo è nelle condizioni migliori, deve solo agire». Già, agire. Sono tutti fermi lì ad attendere le sue mosse. Ed è ormai chiaro che il Cavaliere ha il sostegno del Colle, ha aperto un canale con D'Alema e dunque con Bersani, come riserva potrebbe richiamare in campo Casini se le cose si dovessero impantanare. Di sicuro non delegherà nulla. D'ora in poi farà tutto in prima persona.

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