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Pd, avanti il prossimo

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Pierluigi Bersani

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È il destino di tutti i segretari del Pd. Prima o poi si ritrovano soli al comando. Pier Luigi Bersani non fa eccezione. Certo, ci ha messo del suo. L'analisi del voto regionale ha scavato un solco profondo tra il leader e il resto del partito. Anche Massimo D'Alema, considerato il grande sponsor di Bersani, lo ha mollato. Il braccio destro del lìder Maximo, Nicola Latorre, lo ha detto chiaramente intervenendo ieri a Unomattina: «Il risultato elettorale di certo deludente non mette in discussione la guida di Bersani che è salda». Una netta presa di distanza dal segretario che, invece, continua a porre l'accento sul fatto che dalle Regionali è uscito un Pd in crescita. «La verità - spiega un deputato democratico dietro promessa di anonimato - è che le dichiarazioni di Pier Luigi erano indirizzate a Veltroni. Con quell'analisi edulcorata del voto il segretario voleva dimostrare che chi lo ha preceduto gli ha consegnato un Pd morente e che lui lo ha rivitalizzato». Ma lungo questa strada Bersani è solo. Anche perché, proprio l'esito negativo delle Regionali, ha ridato fiato alle correnti interne al partito. E così gli ex Ppi, scottati dalle prese di posizione della Chiesa contro le candidate laiciste Emma Bonino e Mercedes Bresso, hanno cominciato a chiedere più spazio. Veltroni e i suoi stanno cercando di aprire un fronte sul tema delle riforme e cavalcano la «rivolta dei giovani». Il segretario frena cerca di parare i colpi, ma l'impressione è di essere tornati ai bei tempi passati quando ognuno poteva alzarsi e dire la sua in assoluta libertà. In fondo come ha spiegato il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti qualche giorno fa «il centrosinistra non ha un'identità dai tempi dell'euro» e il Pd «non deve partire da zero, ma quasi». E allora la domanda nasce spontanea: la leadership di Bersani è salda, ma quanto salda? Il breve periodo non dovrebbe essere un problema. All'orizzonte non sembra esserci un'alternativa percorribile, anche perché le «giovani promesse» sembrano più impegnate a pestarsi i piedi che a scalare il partito (vedi la polemica Zingaretti-Renzi). Ma nel lungo lo scenario cambia. E di molto. Perché anche se tutti ripetono il ritornello del «ci attendono tre anni senza elezioni», la realtà è un'altra. Da qui a un anno si vota in diversi comuni e alcuni sono dei veri e propri «feudi rossi». Si comincia a giugno a Bologna, per poi proseguire, solo per citare i più importanti, con Torino, Milano e Napoli. Cosa succederebbe se il Pd perdesse queste amministrative? Cosa succederebbe a Pier Luigi se il centrodestra conquistasse oltre a Napoli (dato già per perso) anche Torino? Insomma l'ipotesi, neanche troppo campata per l'aria, è che i Democratici potrebbero presentarsi alle comunali di Genova del 2012 (altra roccaforte sinistra) con un nuovo segretario. E così, anche se Bersani non esclude una sua candidatura come premier nel 2013, in giro per l'Italia chi sta già scaldando i motori. Uno di questi è sicuramente Sergio Chiamparino. Da tempo il sindaco di Torino guarda a Roma. Il suo nome era già uscito in occasione delle ultime primarie, ma poi non se n'era fatto più niente. A suo favore c'è che rappresenta il Nord, zona d'Italia in cui il Pd è praticamente assente e dove l'avanzata della Lega sembra inarrestabile. Poi ha alle spalle una solida esperienza politica e, soprattutto, è un amministratore locale quindi in grado di colmare il distacco che si è creato tra il partito e la gente. A stretto giro segue Nicola Zingaretti. La formazione è la stessa di Chiamparino, ma il presidente della provincia di Roma sembra più interessato al Campidoglio che a giocarsi un ruolo nazionale. Nelle retrovie crescono invece Debora Serracchiani e Matteo Renzi. Ma se la prima si è già guadagnata le antipatie di mezzo partito, il secondo ha il suo bel da fare a gestire la città di Firenze difendendosi dal fuoco amico della sua coalizione. Non resta che guardare fuori dai confini del Pd. Qui l'unico veramente pericoloso sembra essere Nichi Vendola. Il governatore gode di un certo favore all'interno dell'elettorato di centrosinistra, ma per ora si è misurato veramente solo con quello pugliese. In ogni caso chi, puntando sulla legittimazione popolare, ha provato a scalare il Pd dall'esterno, è finito bruciato (vedi alla voce Sergio Cofferati). Ma c'è anche chi dice che l'ipotesi di un clamoroso ritorno stia tentando Walter Veltroni. Parlando con i suoi l'ex segretario avrebbe confidato di essere certo che, prima o poi, trovandosi in difficoltà, il partito sarà costretto a richiamarlo in campo. La speranza, si sa, è l'ultima a morire.  

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