Meritocrazia e libertà
La Costituzione stabilisce, all'articolo 97, che per entrare nella pubblica amministrazione si debba superare un concorso, "salvo i casi stabiliti dalla legge". Non solo, nel tempo, l'eccezione è dilagata fin quasi a divenire regola, non solo i concorsi, quando si fanno, sono alterati da punteggi concepiti per agevolare determinate categorie di persone, ma il concetto stesso di "concorso" si associa a quello di "raccomandazione". Tale malcostume ha comportato una sorta d'appropriazione illecita di ciò che è pubblico, fino a considerarlo al servizio di chi ha il potere per farsi valere. Un esempio? I concorsi universitari, un tempo influenzati dalle baronie, che così promuovevano i propri allievi, fino a divenire, oggi, lo strumento per piazzare familiari e famigli. La progressiva corruzione, a sua volta, moltiplica due infezioni della vita civile: a. la necessaria complicità diffusa, che genera la spartitocrazia politica; b. l'umiliazione del merito, che c'impoverisce tutti. Quando i raccomandati superano i bravi ed i meritevoli non si realizza solo una intollerabile ingiustizia, ma si sistema un incapace dove non dovrebbe stare. Nell'istruzione ciò moltiplica l'ignoranza. Nella giustizia favorisce la continua revisione delle sentenze, come l'ancor più frequente smentita delle indagini. Nella sanità genera sprechi e morti, con l'unica speranza che l'incapace si trovi, prima o dopo, a soccorrere chi ce lo piazzò. L'umiliazione del merito, insomma, è un'arma a testata multipla: soddisfa i bisogni di pochi, accresce il potere di pochissimi e distribuisce disfunzioni e povertà su tutti. In un sistema funzionante, l'antidoto a questi mali consiste nell'apertura alla concorrenza e nella privatizzazione delle gestioni. Chiunque debba rispondere, anche di tasca propria, dell'amministrazione che guida si guarda bene dall'utilizzare persone inadatte. Se ci sono casi pietosi, da soccorrere, costa meno creare un fondo di solidarietà e dar loro dei soldi senza far fare dei danni. Ma anche questa ricetta è stata corrotta, e se prendete il vasto mondo delle municipalizzate vi accorgete che si tratta di strutture formalmente private, dove, però, la politica piazza spesso i propri scarti. Ed è tutto dire. Se quella è la testa, figuratevi il resto. Tuttavia, non ci si deve rassegnare. Un interessante esperimento è stato ideato dai ministeri degli interni, dell'economia e della pubblica amministrazione, che ne hanno affidato la realizzazione al Formez. Si tratta di una gestione esterna dei concorsi, che si svolgono in maniera interamente informatizzata, sulla base di questionari che contengono domande scelte, automaticamente e imprevedibilmente, fra un paio di migliaia, già pubbliche. Non c'è modo d'influenzare il risultato, perché il computer lavora in tempo reale e in modo trasparente, senza chiudere un occhio o chiedere consiglio. Non è la soluzione di tutti i mali, certo, ma aiuta a stabilire un primo criterio: le amministrazioni pubbliche che non si avvalgono neanche di questo strumento dovrebbero destare sospetti, e i loro amministratori essere guardati con preoccupazione. Uno dei frutti avvelenati della (non)cultura sessantottina consiste nel supporre che la meritocrazia comporti una selezione ingiusta, "classista". E' vero l'esatto contrario: l'assenza di meritocrazia crea una società immobile, a tutto vantaggio degli scemi altolocati e protetti e a grave svantaggio dei bravi, ma privi di garanzie. Più una società è meritocratica, più è libera. Liberiamoci.