Un assalto che si ripete per minare l'autorità cattolica

«Ora contro la Chiesa viene brandita l'accusa della pedofilia. Prima ci sono state le battaglie del modernismo contro Pio X, poi l'offensiva contro Pio XII per il suo comportamento durante l'ultimo conflitto mondiale e infine quella contro Paolo VI per l'Humanae vitae». Il secco promemoria che il cardinal Angelo Sodano ha dettato a Giampaolo Mattei (OR, 6-7 aprile 2010) è un atto di replica, un rovesciamento di fronte, ancora una volta, dopo il messaggio a Benedetto XVI la mattina di Pasqua, da parte di un uomo forte di esperienza e di decisione. Questo riesce ad essere, per grazia di Dio, il gesto della Chiesa dinanzi a quel sottoprodotto della modernità che è l'opinione pubblica eccitata e armata dalla chiacchiera ipocrita. Ma il Cardinale ha ragione anche nel merito, nonostante qualche storico e dei non storici abbiano storto la bocca. Certo, il Modernismo, la critica inesausta ai «silenzi» di Pio XII, le reazioni alla Humanae Vitae sono vicende diverse; ma è perché le cose sono diverse che la conoscenza si esercita nella loro comparazione. Comparare cose identiche è inutile. Cosa accomuna quelle diverse accanite battaglie di opinione pubblica? La loro strumentalità. Grandi battaglie di opinione pubblica, alimentate da governi ostili a Roma, accompagnano già nel corso dell'Ottocento lo svolgimento e le conclusioni del Vaticano I o il Kulturkampf germanico. E, con poco anticipo sulla crisi modernista, l'affaire Dreyfus e leggi di separazione in Francia. Qual è la formula costante della strumentalità di tali vaste orchestrazioni di stampa e libellistica? Cogliendo di volta in volta la diversa materia o la diversa congiuntura critica (dall'aspetto «aggressivo» del dogma dell'infallibilità pontificia alla repressione piana dell'eresia modernista, dalla strategia emergenziale di Pio XII alla inaudita sfida etica di papa Montini) l'assalto concertato da parte di più motori dell'effervescenza pubblica mira a colpire il significato e il valore della suprema autorità cattolica, la sua legittimità e verità. Anche da parte di subculture cristiane e cattoliche.   Il bersaglio pratico è giustificare poi, sulla base di presunti errori o arbitrii, una limitazione della libertà della Chiesa, per condizionarla nel diritto e nel fatto irreversibilmente. Se gli storici conoscessero meglio quelle congiunture avrebbero colto, dunque, la correttezza della sintesi polemica del Cardinale. Ma non voglio mancare, per una volta, di far riferimento allo stillicidio di critiche che vengono portate dall'ebraismo ufficiale italiano a formule occasionali con cui le voci vaticane si sono espresse in giorni di concitata emergenza: dal cenno commosso di padre Cantalamessa (una persona buona e dotta se ve ne sono) all'amico ebreo, alla collocazione, da parte del cardinal Sodano, delle critiche a Pio XII nella serie delle aggressioni alla Chiesa romana. Sottolineo anche che, dalla comunità ebraica come da altri fronti «vicini», il duro momento di confronto cui il Pontefice è sottoposto avrebbe meritato piuttosto solidarietà. Naturalmente Roma può farne a meno. Chi mi conosce sa della mia più che lealtà, passione, per il polo ebraico e le sue ragioni e realizzazioni storiche (Israele, non secondariamente). Mi sia dunque concessa una inequivoca critica. La lunga battaglia libellistica (cos'altro è anche Il papa di Hitler di Goldhagen, fosse solo per il titolo infame?) contro «i silenzi», magari il filonazismo, di Pio XII, a partire dal Vicario di Hochhuth fino alla riaccensione della querelle della fine del 2004 (un assurdo «Roncalli contro Pacelli», riguardo alla mancata restituzione dei bambini ebrei da parte delle istituzioni cattoliche che li avevano accolti nel corso della guerra) e ad altro recente, fu anzitutto, piaccia o no, e resta una battaglia antiromana, anticattolica, e forse ancora più che tale. Chi, negli ambienti che si eccitano nella polemica o la alimentano, si prende cura di leggere e confrontare la storiografia specialistica, la pubblicazione e l'analisi rigorosa delle fonti, il lavoro delicato (che è il vero lavoro storico) di contestualizzazione «dell'agire e del patire», secondo la profonda formula del poeta? Senza questa volontà e capacità di oggettivare e intendere, rara in genere, certo non presente nel battage pubblico, l'uso politico della storia, la sua strumentalità ogni volta che il «caso Pio XII» viene abilmente riproposto ai media, sono certi; si tratta solo di capire di volta in volta chi e perché accenda i fuochi. Non credo sia troppo chiedere, trascorsi già due lustri di un nuovo millennio, ai fratelli ebrei (italiani, non secondariamente) di abbandonare i residui anticlericali, infecondi e intimamente erronei – se si vuole capire la storia dell'Occidente – per sentirsi piuttosto alleati della battaglia stessa della Chiesa per la difesa e affermazione del comune patrimonio e dell'uomo.