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Udc, tanto rumore per nulla

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Immobile.Con qualche piccolo assestamento che comunque non modifica granché il suo bottino elettorale, fermo allo stessa cifra da almeno quattro anni. E quindi sostanzialmente inutile sulla scena politica. Pier Ferdinando Casini anche in queste elezioni regionali, nelle quali in cuor suo sperava di aumentare un po' le sue preferenze, è rimasto al palo. Ha conquistato qualcosa al Sud ha perso qualcosa al Nord. E il risultato è sempre lo stesso: una media del 6 per cento di consensi a livello nazionale che certo lo pone al di sopra di tutti i vari partitini della sinistra ma che non gli permette di fare il salto di qualità che sognava. Emblematico è il risultato del Lazio, dove i centristi pensavano di fare il pieno di voti, approfittando della mancanza della lista del Pdl a Roma e provincia. Sperando soprattutto di intercettare il voto dei cattolici rimasti orfani del partito di Berlusconi. La previsione, invece, è risultata completamente sballata. Alla fine, infatti, l'asticella delle preferenze si è fermata al 6,12 per cento, che tradotto significa poco più di 150 mila voti. Un qualcosina in più rispetto alle europee del 2009 (5,5 per cento) e alle elezioni politiche del 2008 (4,8 per cento), ma inferiore a quanto avuto alle politiche del 2006 (6,9 per cento) e al 2004, quando Casini ottenne il 7,1 per cento. Ma allora nel partito c'era ancora Mario Baccini, che nella regione aveva un portafoglio di voti assai corposo. Le aspettative per queste regionali erano però tornate ad essere notevoli. Nel nuovo consiglio del Lazio Pier Ferdinando Casini sognava di arrivare ad avere sei o sette consiglieri e invece si è fermato a tre, pensava di raddoppiare le preferenze e invece è aumentato appena di uno 0,6 per cento. E questo perché i voti che sperava di intercettare, specialmente quelli cattolici, sono rimasti in mano al Pdl. Che li ha poi «girati» sulla lista Polverini. Del resto i sondaggisti più attenti avevano già capito che il travaso di preferenze non ci sarebbe stato. Luigi Crespi, ad esempio, era stato chiaro: «Chi vota Pdl non voterà mai Udc. Sono due mondi diversi, separati. Piuttosto potrebbero indirizzare le preferenze sulla Destra di Storace». E infatti così è stato: l'ex governatore del Lazio ha raddoppiato i suoi voti e ha portato due consiglieri alla Regione. Decisivo per l'indicazione di voto che arriva da oltre Tevere è stato anche l'intervento di Silvio Berlusconi. Si è fatto sentire e vedere nella campagna elettorale a Roma, ha toccato i temi ai quali le gerarchie ecclesiastiche sono più sensibili, dalla difesa della vita alla famiglia, e si è schierato apertamente con papa Ratzinger sul tema, spinoso e pericoloso, dei preti pedofili, unico leader europeo ad averlo fatto. E in questo modo ha di nuovo messo fuori gioco Pier Ferdinando Casini. Il quale anche se ieri pomeriggio, al termine delle riunione del comitato nazionale del partito ha raccontato che «il dato elettorale complessivamente ci soddisfa» deve fare i conti con una fotografia reale e impietosa: rispetto al 2008 l'Udc ha perso, su tutto il territorio nazionale, 351 mila voti, e addirittura un numero maggiore rispetto alle elezioni europee del 2009, ben 377 mila preferenze. Segno che la politica di cercare un centro lontano dai due schieramenti maggiori non paga. Nemmeno quando il nemico Berlusconi è costretto a gareggiare in una partita – nel Lazio – con l'handicap.

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