Nel Pdl a maggioranza

«E ora le riforme», dice Silvio Berlusconi in pubblico. In privato il premier è molto più esplicito, a tratti brutale. «Ho i voti, gli italiani hanno scelto me», ripete dall'altra sera quando era nel suo ufficio di palazzo Chigi, chiuso con pochi fedelissimi. «Avanti, le elezioni dicono che stiamo governando bene e dobbiamo accelerare», insiste il Cavaliere. Come? Il cambio di passo sarà soprattutto di metodo. Berlusconi ha la «sindrome pantano», non vuole finire nella palude delle trattative infinite alle quali lo costrinse Casini nell'altra legislatura: allora Pier era presidente della Camera, la stessa carica di Fini oggi e non è un caso. Silvio non vuole ricominciare con i pranzi al piano nobile di Montecitorio, gli incontri al De Russie. Non vuole vedere più fotografie sui giornali di lui seduto a parlare. Vuole essere in azione. «Vogliono la democrazia? - continua a ripetere - Gli diamo tutta la democrazia che vogliono. Tutto sarà stabilito con il voto a maggioranza». In pratica Berlusconi vuole convocare l'ufficio di presidenza del partito e in quella sede concertare le riforme: giustizia, intercettazioni, fisco, istituzioni. «Se qualcuno ha qualcosa da dire, la dica in quella sede», spiega un fedelissimo del Cavaliere. E quel qualcuno, che nessuno nomina, è proprio Fini e le sue emanazioni. Il cofondatore sa perfettamente dell'aria che tira. Difficile sostenere una linea laica per il Pdl dopo che l'intesa con la Chiesa sembra essere stata determinante in Piemonte e Lazio. Tanto per citare un esempio. E infatti ieri si è affrettato ad alzare la cornetta (gesto che usualmente gli pesa) e a chiamare Berlusconi. Telefonata breve, semplici complimenti. Ma più delle chiacchiere parla la fisicità delle cose. L'altra sera nei mille festeggiamenti Renata Polverini non ha mai nominato Gianfranco Fini. Eppure c'aveva parlato a telefono. Nessuno l'ha ricordato. Come se fosse stato rimosso. In piazza non c'era alcun finiano ad eccezione di Andrea Ronchi. A cui potrebbe essere aggiunto Andrea Augello, coordinatore della campagna della Polverini. Di primo mattino la neogovernatrice è andata in pellegrinaggio a palazzo Grazioli a omaggiare Berlusconi. Poi uscendo ha concesso: «Fini mi ha chiamata e l'ho ringraziato perché tutti sanno che ha voluto la mia candidatura e lui mi ha fatto gli auguri». Un messaggio gelido. Poi in conferenza stampa nel pomeriggio ha rimarcato: «Ieri sera ho ringraziato il presidente Berlusconi e l'ho fatto anche stamattina personalmente. I miei ringraziamenti vanno anche al presidente Fini e a tutti i dirigenti del Pdl». Alla Camera, in Transatlantico, tra i finiani serpeggiava l'aria di chi si aspetta che piovano le bombe. Adolfo Urso sul divanetto, poi sotto braccio con Enzo Raisi. Flavia Perina arriva, fugaci saluti, in aula e poi via. Donato La Morte ormai contro tutto e tutti. Italo Bocchino salutava tutti, abbracciava tutti e s'appartava pure con un avversario storico come Mario Landolfi: il vicecapogruppo fa sempre così quando è in affanno. L'unico che si lasciava andare era Amedeo Laboccetta, petto in fuori grazie ai 25mila voti del suo uomo in Campania. Mani nella tasca della giacca, sigaro in bocca e, in mezzo a una nuvola di fumo, si ode: «Fini ha da stare un po' calmo adesso. Berlusconi c'ha messo la faccia e ha vinto». Carmelo Briguglio insiste: «Bisogna seguire la linea di Giuliano Ferrara, un patto di riforme per i prossimi tre anni». Lo ripetono da una settimana. Più che una via d'uscita sempre una scappatoia.