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Ultima chiamata

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Cattive notizie per il Paese. L'affluenza dei votanti è in picchiata, il dato finale alle 22 dice che ai seggi si è presentato solo il 47 per cento degli italiani contro il 56 per cento del turno precedente. Nove punti. Calo micidiale. Si è disquisito in questi giorni di «effetto francese», ma ricordiamo che le opinioni non sono fatti e il paragone con la Francia non sta in piedi. Basta leggere i dati e tenere in mente il particolare contesto italiano per capire che questo voto potrebbe avviarsi a un esito ben più serio di quello transalpino: il sistema politico è sull'orlo del collasso. E il suo destino dipende da quanti italiani oggi andranno a votare. Siamo all'ultima chiamata. In tutti i sensi. Intanto annotiamo sul nostro taccuino almeno quattro fattori (due politici e due esterni) determinanti: la campagna elettorale in stato d'assedio permanente, la mappatura dell'astensione, l'ora legale entrata in vigore ieri e la domenica di sole. Gli ultimi due sono stati una leva eccezionale per quei cittadini che ne hanno piene le tasche. Le lancette dell'orologio ieri si sono spostate avanti di un'ora. Lo stesso è successo per i ritmi delle famiglie italiane. Si sono svegliati e hanno cominciato la routine domenicale con un bioritmo sfasato di 60 minuti. Colazione, messa (era la domenica delle Palme), pranzo, gita fuori porta e cena si sono allungati come un elastico. Al resto ha contribuito una bellissima giornata. Tra il seggio e la gita fuori porta, i dubbi per molti si sono sciolti al sole. Il bersaglio del non-voto è una campagna elettorale durissima e bruttissima. Il centrodestra s'è ritrovato non a parlare di politica e programmi, ma a dover rispondere agli attacchi della magistratura e di un'opposizione disinteressata a confrontarsi sul piano dei fatti di governo. Nessuno dei punti che stanno davvero a cuore ai cittadini purtroppo ha trovato spazio nel dibattito pubblico: lavoro, riforme, rilancio della grande industria e delle piccole imprese, temi etici e sociali che incidono sulla vita di tutti i giorni e sulle scelte fondamentali delle famiglie. Niente di niente. Non un solo argomento degno di nota è riuscito a bucare la diga dello scontro all'arma bianca. È inutile girarci intorno: la patologica azione della magistratura militante e la risposta inadeguata di partiti senza struttura e penetrazione sul territorio stanno facendo implodere la politica. Una parte del corpo elettorale ieri ha dato un segnale chiaro: così non si può andare avanti. Il centrosinistra userà questo tema per attaccare il governo, ma al loro posto ci andrei cauto: l'astensione colpisce anche le regioni rosse, dove il voto è sempre militarizzato. Il dato dell'astensione non è a macchia di leopardo, ma diffuso in tutto lo Stivale. Il Lazio è la Regione dove finora si è votato meno. L'assenza della lista del Pdl è un vulnus che pesa ed è stato folle escluderla buttando alle ortiche il principio della «piena rappresentanza». Oggi nei seggi romani assisteremo a una battaglia campale fino all'ultima scheda. C'è un altro elemento di cui dobbiamo tener conto prima di tirare le somme. Le elezioni splittate in due giorni si svolgono in tre ondate: a mezzogiorno il gap tra questo turno e quello precedente era di poco più di 2 punti, nel pomeriggio si è allungato di 7 con il risultato confermato in serata. La terza ondata è quella di oggi, vedremo quanto inciderà sul dato finale. Se il divario si attesta intorno ai cinque punti, tutti gli scenari restano aperti e con questi numeri, aggiungo, nessun risultato può essere ipotecato. Vedremo chi sarà favorito dalla diserzione dell'urna. L'Italia rispetto agli altri stati occidentali continua ad andare a votare, ma il campanello d'allarme è una sirena assordante. Dopo l'astensione, il prossimo fenomeno che ci toccherà annotare sul taccuino sarà quello del premio ai partiti che si presentano come anti-sistema, pur stando nella stanza dei bottoni. Il governo da questo voto deve trarre una lezione: difendersi con passione non basta. Silvio Berlusconi ne è consapevole ma dovrà usare i prossimi tre anni per fare le riforme. Da solo o con l'opposizione. Deve dare un senso alla legislatura e un futuro al Paese. L'Italia ne ha davvero bisogno. Ora o mai più.

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