Polverini, vittoria di rabbia e di cuore
Ancora una volta la vittoria nel Lazio del centrodestra è arrivata grazie ai voti delle quattro province più piccole, Rieti, Frosinone, Latina e Viterbo. Come nelle regionali del 2000, quando vinse Francesco Storace. Al centrosinistra, invece, non è bastato, come è avvenuto nelle altre elezioni, vincere a Roma. I voti della Capitale non sono infatti stati sufficienti a riequilibrare la vittoria netta che Renata Polverini ha ottenuto nel resto del Lazio. E questo nonostante un astensionismo fortissimo che però stavolta non ha divorato solo i voti del centrodestra ma anche quelli del centrosinistra. Basta dare un'occhiata ai dati che il Viminale ha diffuso ieri a urne chiuse per capire perché nel comitato elettorale di Renata Polverini nel primo pomeriggio fosse sceso il gelo: a Roma è stato toccato il -13,18 per cento, a Rieti il -10,54, a Latina il -10,56, a Frosinone il -7,59 a Viterbo il -9,55. Numeri che non promettevano nulla di buono, visto che storicamente l'astensionismo colpisce maggiormente a destra. E se a questo si aggiunge che a Roma e provincia non era presente la lista del Pdl, esclusa per il «pasticciaccio» dei documenti presentati e non accettati, si capisce perché l'umore, nel Pdl laziale, non fosse particolarmente allegro. Eppure, alla fine, insperata, è arrivata la vittoria. Frutto di una serie di fattori. Il primo, come sempre, è stato Silvio Berlusconi. Può piacere o no ma quando il presidente del Consiglio decide di impegnarsi per un candidato riesce a trascinarlo alla vittoria. Lo ha fatto con Gianni Chiodi in Abruzzo nel 2008, lo ha ripetuto nel 2009 con Ugo Cappellacci in Sardegna, ed è riuscito a ripetersi di nuovo con Renata Polverini. Ha scommesso sul successo della manifestazione in piazza San Giovanni a Roma il 20 marzo quando anche dentro il Pdl molti erano scettici. E ha avuto ragione. Si è impegnato strenuamente per sostenerla anche se, dentro di sè, non ha mai amato troppo la candidata che gli è stata imposta da Gianfranco Fini. E alla fine gli ha dato quella spinta finale che l'ha portata alla vittoria. Il secondo fattore è che attorno alla candidata del centrodestra ha lavorato una squadra già «rodata» dalla vittoria ottenuta due anni fa con Gianni Alemanno: Vincenzo Piso, Andrea Augello, Fabio Rampelli, Beatrice Lorenzin, Giorgia Meloni ai quali si sono aggiunti Fabio De Lillo e Gianni Sammarco. Parlamentari romani – l'ala di An più dura con ex di Forza Italia – che hanno fatto tutta la trafila da consigliere comunale fino a deputato e senatore, e che conoscono alla perfezione i meccanismi che regolano campagna elettorale. Insieme, nelle ultime settimane, hanno lavorato giorno e notte, hanno fatto migliaia di chilometri e migliaia di incontri con un unico scopo: traghettare sui candidati della Lista Polverini i voti che non potevano più essere dati agli esponenti del Pdl e convincere gli elettori più sfiduciati da tutto il pasticciaccio accaduto prima del voto ad andare a alle urne. Operazione riuscita brillantemente visto che la Lista della candidata presidente è diventata il primo partito nel Lazio, superando anche il Pd. Così a Roma e provincia il centrodestra è riuscito ad arginare l'emorragia di voti. Una lunga rincorsa, iniziata dal meno quattro per cento nei sondaggi in cui sprofondato il Popolo della Libertà dopo l'esclusione della Lista fino al pareggio «acchiappato proprio in dirittura finale. Una rincorsa e un successo che finirà nei manuali della politica perché mai si era visto un partito vincere nonostante il proprio simbolo non fosse presente sulla scheda. Il terzo fattore è che il Partito Democratico ha versato, nonostante tutto, un tributo durissimo agli errori del passato. Ha pagato la pessima uscita di scena dell'ex governatore Piero Marrazzo, con tutte le polemiche che ne sono seguite, e ha pagato il fatto essersi lasciato imporre un candidato radicale perché incapace di scegliere – e trovare – un proprio esponente disposto a mettere la faccia sul disastro lasciato dall'ex presidente. La faccia ce l'ha messa Emma Bonino e i vertici del Partito Democratico si sono dovuti accodare, lasciando sconcertata l'ala cattolica e popolare del partito. Una parte del Pd che a Roma e nel Lazio conta. E anche tanto. Così, in un testa a testa finito un'incollatura (poco meno di ventimila voti), il centrodestra è riuscito a riconquistare la Regione. E a far sprofondare il Pd in una crisi durissima. Dopo aver perso il Campidoglio due anni fa anche la Pisana è passata al Pdl. Resta la sola Provincia dove governa Nicola Zingaretti ma che di fatto è «stritolata» fra le due amministrazioni più grandi. Andando a guardare i risultati dei partiti la sorpresa più grande arriva dall'Udc che non ha avuto quell'impennata di voti che in molti avevano previsto grazie alla mancanza della lista del Pdl. Anzi, complessivamente ha ottenuto una percentuale di poco superiore (5,6%) a quella ottenuta alle Europee del 2009 (5,5%) ma inferiore alle regionali del 2005 (6%), è crollata di due punti proprio a Roma ed è invece aumentata un po' nelle altre province. Si gode invece il successo Francesco Storace: La Destra raddoppia le preferenze passando dal 2 per cento a oltre il 4. Nel centrosinistra il dato più significativo è il successo dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, capace di volare quasi al 10 cento (alle Europee era all'8,3%). Due punti in più che quasi sicuramente arrivano dal partito Democratico che quella cifra ha perso proprio rispetto alle ultime elezioni del 2009 e del 2005.