Colpaccio di Silvio
Volevano impagliare il Caimano. E il Caimano ancora una volta se li è mangiati tutti. Sono sedici anni che Silvio Berlusconi detta i tempi della politica e il suo metronomo in campagna elettorale si dimostra ancora quello più preciso. Quando annusa l'aria della trincea, quando tutti pensano di averlo messo con le spalle al muro, quando la sinistra comincia a preparare il funerale e Repubblica a intonare il De profundis, il Cavaliere gira la chiave, fa rombare il motore e arrivederci a tutti. Il centrosinistra ancora una volta ha dovuto mangiare la polvere del battistrada e le briciole d'asfalto proiettate in aria dalla fuoriserie guidata da Silvio che mette a segno un colpaccio da antologia. La vittoria del Cav è costruita tutta su due formidabili gran premi: in Piemonte Roberto Cota ha superato la Mercedes (Bresso) e ha fatto sventolare la bandiera a scacchi; sul circuito del Lazio Renata Polverini ed Emma Bonino sono state protagoniste di un incredibile testa a testa, una battaglia all'ultima scheda e la candidata del centrodestra è riuscita a vincere senza la lista del Pdl, ma con il cuore, la passione e la leadership al titanio di Berlusconi. Sono due regioni chiave del quadro nazionale. Pesano come un macigno sulla testa dell'opposizione. Il senso politico della giornata è limpido: l'Italia è un Paese moderato, non si fida della sinistra e preferisce la guida a destra. Al nord il centrodestra ha messo in pista un sidecar, con Berlusconi e Umberto Bossi a guidare una corsa sfrenata in Lombardia, Piemonte e Veneto. La Lega così realizza il suo antico progetto di macroregione. Una valanga verde-azzurra. Il partito del Senatur non si ferma sulla linea del Po, ma sfonda anche in Emilia e Toscana. Il Pd da ieri ha un problema in più e deve difendersi da un triplice attacco: quello della Lega nei distretti industriali, quello di Antonio Di Pietro che punta a consumarne la base, quello del movimento di Beppe Grillo, il prodotto nuovo dell'antipolitica che sta sfasciando quel poco che è rimasto di sinistra riformista. Fossi in Bersani, sarei un filino preoccupato sulle sorti del mio partito. In tv invece ho sentito gli esponenti democratici raccontare un film diverso con una sceneggiatura da genere fantastico. Pazienza. È per questo motivo che Berlusconi continua ad essere un incubo. Per batterlo bisognerebbe mettersi a rileggere Gramsci e cercare di conoscere l'avversario. Sedici anni dopo la discesa in campo siamo punto e a capo. Il Cav fa la grande mietitura in campagna elettorale e l'opposizione se ne meraviglia. L'ex Pci è praticamente in ritirata dal Nord, subisce un'erosione costante nelle sue storiche roccheforti del Centro, nel Mezzogiorno perde la Campania e la Calabria e in Puglia accompagna alla vittoria quel Nichi Vendola che sogna di inglobarlo nell'ennesima «Cosa». Bel risultato. Eppure nessuna figura di peso del Pd ha sollevato il minimo dubbio su questa strategia che sta privando l'Italia di un'opposizione credibile. Solo la giovane Debora Serracchiani ha provato a dire la sua contro i Tafazzi del Pd. Un concertino per voce sola, o meglio isolata. Berlusconi nel frattempo ha consolidato la sua posizione di unico leader possibile del centrodestra. Tutti i piani per disarcionarlo si infrangono di fronte alla realtà dell'urna: Silvio ha i voti, gli altri le interviste sui "giornali intelligenti". Non è con le pensose riflessioni sulla carta che si diventa leader e riferimento di un blocco sociale. Prima di lanciare segnali di fumo al Paese, occorre catturare il consenso e trasformarlo in politica. In questi anni ho visto tanti potenziali geni del Palazzo lasciarsi catapultare dai salotti chic verso leadership immaginarie. La strada della politica è lastricata di questi bei nomi e sono pronto a scommettere che presto si arricchirà di altre giovani-vecchie promesse non mantenute. Il progetto di Pier Ferdinando Casini di un centro che fa il pendolo e attende la caduta del Cavaliere per esprimere in futuro il candidato alla presidenza del Consiglio è finito in soffitta. Pier è un politico intelligente, ma quando pensa a Berlusconi fa sempre calcoli che non tornano. È un moderato, cattolico, dovrebbe stare dentro il centrodestra e dare il suo contributo alle riforme. Così non va da nessuna parte. Le sue percentuali sono quelle di sempre e i suoi piani di anno in anno continuano a non vedere un orizzonte ragionevole. Gianfranco Fini si è chiuso in un silenzio che non sappiamo ancora come interpretare. La sua orbita è sempre più eccentrica rispetto a quella del partito che ha contribuito a fondare. Sarebbe interessante sentire la sua voce. Non disperiamo. Sarebbe anche utile che il presidente della Camera ripensasse il suo percorso politico. Rischia di restare senza una casa. E ricostruirne una da solo, con fondamenta solide, visti i risultati delle elezioni, è opera che richiede forza ciclopica e consenso presso gli elettori. Sulla forza dubitiamo, sul consenso fanno fede i dati che vediamo uscire dalle urne. E sono numeri che hanno un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Con buona pace degli opinionisti alle vongole, la «sindrome francese» non c'è stata e se a questo turno amministrativo vogliamo dare il significato che hanno le elezioni di medio-termine negli Stati Uniti (e non sarebbe corretto) allora il governo ne è uscito rafforzato. Il Cavaliere ha messo tutto se stesso nella campagna elettorale, ha macinato chilometri e comizi, tra un assalto giudiziario e l'altro è riuscito a far svoltare anche l'avventura di Renata Polverini nel Lazio. Lo sprint finale della candidata del centrodestra è stato sorprendente e appassionante. Senza la lista del Pdl in campo nella provincia di Roma, la Polverini ha vinto e ha strappato il Lazio al centrosinistra. Partita con un handicap che avrebbe messo al tappeto chiunque, la candidata non si è persa d'animo e ha combattuto fino all'ultimo respiro. Un miracolo. Quando ho visto il Cavaliere all'Eur sfoggiare un inedito buon umore ho capito che qualcosa si stava muovendo. Il suo colpo di tacco era più di un gesto dettato dalla fine della campagna elettorale. Era il preludio del colpaccio finale. Berlusconi aveva già messo la freccia ed era in corsia di sorpasso. Ora deve riprendere in mano il volante del governo. Nei prossimi tre anni non ci saranno elezioni e il governo può dedicarsi a dare un senso a una legislatura partita molto bene e frenata dalla battaglia giudiziaria. La magistratura militante non rinuncerà ai suoi assalti contro il Cavaliere. Ma proprio per questo non si può rinunciare a governare e soprattutto ad aprire una volta per tutte la stagione delle riforme. Berlusconi deve cogliere al volo questo risultato elettorale per lanciare la Grande Riforma. Deve scuotere l'albero del Pd e convincere i democratici a sedersi al tavolo. Se l'opposizione non vuole contribuire, farà esattamente quel che si fa quando si ha la maggioranza del Paese e responsabilità del governo: si decide da soli e si va davanti al Paese a chiedere il consenso. Per fare tutto questo ora c'è tempo: le prossime elezioni saranno fra tre anni. E per Silvio ora la strada è spianata.