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Al Pd resta solo l'Appennino

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Luigi Bersani

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Alle 14.30, prima che le urne chiudano, nella sede del Pd a via del Nazareno circola già una voce semiufficiale: il centrosinistra ha conquistato sette regioni, il centrodestra quattro e due sono in bilico. Pier Luigi Bersani se ne sta chiuso nella sua stanza al secondo piano. Fuori, nel corridoio, ci sono quasi tutti i big. Anche Walter Veltroni non ha voluto mancare l'appuntamento e la cosa è di per sé una notizia. Alle 15 SkyTg24 fa sapere che non darà gli intention poll perché l'alta percentuale di astensionismo ne pregiudica la validità. I vertici del Pd leggono il dato con ottimismo anche perché solitamente l'astensionismo non premia il centrodestra. Ma, quando cominciano ad arrivare le prime proiezioni, è subito allarme. In Piemonte Roberto Cota è in vantaggio su Mercedes Bresso. Un risultato che sembra confermare i timori della vigilia.  Non a caso Bersani aveva deciso di chiudere la campagna elettorale a Torino, davanti ai cancelli di Mirafiori (che però, fa notare qualcuno, non portarono fortuna neanche a Enrico Berlinguer). A metà pomeriggio il vicesegretario Enrico Letta si presenta davanti ai giornalisti e la musica non cambia: «Abbiamo vinto 7 Regioni e siamo fiduciosi sulle due in bilico». Dal territorio, infatti, arrivano «dati diversi e migliori» (il virgolettato è del coordinatore della segreteria Pd Maurizio Miglivacca) rispetto a quelli forniti in televisione. E comunque, fanno notare in molti, considerando i voti delle liste collegate ai candidati governatori, il Pd avanza e fa segnare un'inversione di tendenza rispetto alle europee dello scorso anno. Niente male per un partito che era dato per morto. Così, anche se resta tutto il giorno barricato nel suo ufficio senza parlare, il segretario fa trapelare di essere piuttosto soddisfatto. In verità c'è poco da stare allegri. Passano le ore e il centrodestra conquista Piemonte e Lazio. Finisce 7 a 6. Che è comunque una vittoria, ma solo numerica. Soprattutto perché, se Bersani fa sapere che commenterà i dati solo oggi dopo la riunione del coordinamento politico e della segreteria, il suo principale alleato Antonio Di Pietro commenta. E non si risparmia. L'ex pm, infatti, è il primo ad ammettere senza mezzi termini che il centrodestra ha vinto questa tornata elettorale. E mentre festeggia la crescita dell'Idv in tutte le Regioni (in Calabria Filippo Callipo ha toccato, da solo, il 10%), chiede «pari dignità» e presenta il conto ai Democratici: «Mi auguro che il Pd si renda conto che deve affidarsi all'Idv, ormai in grado di ricostruire una coalizione per l'alternativa di governo». Insomma Tonino e i suoi, dopo queste elezioni, non hanno più intenzione di vestire i panni dei comprimari e Bersani, dopo aver perso tempo a flirtare con l'Udc, dovrà tornare all'ovile con il capo cosparso di cenere. Ma Di Pietro non è l'unico problema. I Democratici infatti, come largamente previsto, conservano le «rosse» Toscana, Emilia Romagna (con un significativo calo dei consensi ndr), Marche, Umbria e Basilicata. Tengono la Liguria che però resta l'unica Regione del Nord in mano al centrosinistra (Trentino escluso). Si confermano in Puglia, ma devono ringraziare Nichi Vendola e Adriana Poli Bortone. E incassano sonore bocciature in Campania e Calabria dove tra l'altro governavano. Come se non bastasse devono fare i conti con l'astensionismo del Lazio che, nonostante l'assenza del Pdl a Roma e provincia, ha punito severamente il centrosinistra. Tanto che la minoranza ex Popolare è già pronta a far notare come la candidatura laicista di Emma Bonino, alla fine, si sia trasformata in un boomerang. C'è poi l'emorragia di consensi a favore della Lega che si conferma come il vero partito della classe operaia. E, dulcis in fundo, va registrata la straordinaria prova delle liste antipolitiche di Beppe Grillo antagoniste tanto del Pdl quanto del Pd. Eppure Bersani è ottimista. Contento lui.

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