Fuori sede in fuorigioco Treni lumaca per votare
.Uomini e donne, giovani e vecchi e perfino militari, carcerati e degenti ospedalieri potranno esercitare il loro diritto e dovere di voto. Tutti tranne un foltissimo gruppo di persone che, per lavoro o studio, sono costretti ad abitare lontani dal luogo di residenza. Una moltitudine di persone definite "fuori sede" che, a fatica saranno messe nelle condizioni di poter raggiungere le proprie città per poter eleggere i consigli regionali (e i rispettivi presidenti) di tredici Regioni. E così, dei 41.309.965 italiani chiamati alle urne (19.900.341 uomini e 21.409.624 donne) ben 286.000 studenti fuori sede rischiano di non avere la possibilità di scegliere la classe dirigente che determinerà il loro futuro: 40.014 pugliesi, 27.624 campani, 25.262 calabresi ma anche 24.838 veneti, 19.500 lombardi, 14.325 piemontesi per i quali, ancora una volta, sarà difficile esercitare un diritto. Numeri che inevitabilmente crescono a livelli ben più alti se si aggiungono i lavoratori fuori sede sui quali, però, non esiste alcuna statistica organica. Così, si costruiscono seggi speciali per i militari, si portano le schede elettorali all'interno degli ospedali come all'interno delle carceri e invece ai "fuori sede", non resta che prendersi il treno, raggiungere casa, e votare. E non a caso si parla di treno dato che, anche quest'anno è stata rinnovata una convenzione siglata tra Trenitalia S.p.A e il ministero dell'Interno che, ricalcando un decreto del presidente della Rapubblica datato 30 marzo 1957 poi esteso con la legge del 1969, stabilisce, per chi sceglie il treno per andare a votare, uno sconto del 60% sulla tariffa ordinaria dei biglietti di andata e ritorno per treni Espressi e Regionali, mentre, per tutti gli altri treni, è necessario pagare la differenza tra la tariffa ordinaria scontata e quella del treno di categoria superiore scelto. E lì nascono i problemi. Infatti se negli anni Sessanta quasi tutti i treni erano Regionali o Espressi, oggi, la situazione si è capovolta e basta recarsi in biglietteria per capire come sia diventato difficile trovare, tra così tanti treni, quelli sui quali non sia necessario pagare supplementi. Mettiamo caso allora che, domenica, un elettore di Roma volesse arrivare a Vicenza per votare. La prima difficoltà si incontra nel momento di scegliere l'orario di partenza dato che, se prendesse un treno il 28 mattina, arriverebbe a destinazione troppo tardi per poi rientrare a Roma nello stesso giorno. Quindi la partenza va anticipata al sabato sera prendendo l'Espresso delle 22.05. Arrivo a Verona alle 5.30 dove, dopo aver atteso mezz'ora, prenderà un Regionale per Vicenza con arrivo ore 6.49. Quasi nove ore di viaggio. più del doppio di quello che impiegherebbe con l'AltaVelocità. Ma lì entra in ballo la questione economica. Per la prima soluzione, infatti, considerati gli sconti riservati agli elettori, basta sborsare 12,85 euro a tratta, mentre per la seconda ne servono più di cinquanta. Ma anche in questo caso emerge un dato interessante: la tratta Roma-Verona in Frecciargento, scegliendo altre tariffe agevolate di Trenitalia, costerebbe la stessa identica cifra di quella proposta per gli elettori, senza i vincoli che ne derivano. E di casi come questo ce ne sono molti altri. E allora che fare? Primo chiedere un impegno al ministero dell'Interno di mettere mano alla convenzione e poi, come hanno fatto un gruppo di ragazzi universitari che hanno lanciato la petizione on-line "Iovotofuorisede", chiedere al Parlamento di proporre iniziative legislative volte ad introdurre anche in Italia, come già accade in molti Paesi d'Europa, metodologie di voto per coloro che vivono lontano dal luogo di residenza. Insomma, nel Bel Paese militari, degenti e carcerati, sono messi nelle condizioni di esprimere il loro voto, perché non permetterlo anche ai "fuori sede"?