Bossi, il fedelissimo
«Se me lo chiede Silvio, io sarò in piazza con lui». Il fedelissimo Umberto Bossi lo aveva promesso e così ha fatto. Ha accantonato per un giorno il vecchio cavallo di battaglia «Roma Ladrona, la Lega non perdona» e, attraversando il Tevere con le sue truppe, è riuscito a fare breccia nel cuore del Pdl. Una mossa vincente per il grande stratega del Carroccio. E così è riuscito a zittire il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa, che non voleva parlasse dal palco. Ma il diritto di parola gli è arrivato proprio dal premier. Poi, nonostante qualche maldipancia all'interno del partito, il leader del Carroccio ha preferito scendere in piazza, esporsi in prima persona a sostegno del Pdl, metterci la faccia difendendolo dal «fango» politico che sta subendo nel Lazio. Un sacrificio premiato dalla gente che, appena Bossi è salito sul palco, gli ha regalato un grosso applauso. «Credo che la nostra alleanza terrà sempre. Umberto è un uomo di grande equilibrio, misura, lealtà». Le parole che Bossi si aspettava arrivano proprio da Berlusconi. L'esame, se ancora si può usare il concetto, era stato ampiamente superato. «È uno come noi - sottolinea il premier – È un uomo del popolo, lontano dai salotti chic. Ha gli stessi valori che abbiamo noi. Un alleato leale, un grande amico a cui mi sento legato, non solo da amicizia, ma da grande affetto». Silvio esalta Umberto e la piazza esulta per il patto di ferro tra i due. Un patto che è la carta vincente di questo governo e che Bossi analizza quando il Cavaliere gli concede il microfono: «Se fossimo divisi nelle Regioni, sarebbe un disastro anche a Roma e nel governo centrale». Ma le Regionali sono solo un aspetto. Il Senatùr guarda al domani e annuncia: «Con il governo Berlusconi faremo le riforme perché il nostro Paese ha bisogno di essere riformato». «Questa è l'Italia di cui abbiamo bisogno. La Lega è il partito più serio che si possa votare» si lascia sfuggire Giampaolo Ghisaura mentre ascolta il discorso sventolando la bandiera del partito di Berlusconi. «Vede io sono di Porto Rotondo e voto Pdl. Ma è innegabile che la Lega vada subito al sodo dei problemi e non si perda in chiacchiere». Poco distante invece ci sono i sostenitori del partito del Sole delle Alpi. In totale sono poco più di un centinaio, ma la loro presenza non passa inosservata fin dalla partenza a Largo Colli Albani per sfilare fino a piazza San Giovanni. Tra questi c'è Mirko Lazzari: «Mi sono alzato prestissimo per venire a Roma. Sono un consigliere comunale a Minerbio nella provincia di Bologna dove la sinistra governa come se fossimo sotto il regime di Ceausescu. Lì vorrebbero imporci di mangiare m... e che fossimo pure contenti. Noi invece diciamo no. Se ne devono andare e grazie alla Lega ce la faremo». Poco distante cammina anche Giovanni Fontana, consigliere circoscrizionale a Bologna: «Io votavo Udc ma Casini è un voltafaccia. Allora mi sono avvicinato alla Lega perché, come il Pdl, difende quella libertà che rischieremmo di perdere se vincesse la sinistra». Ma è a Fini che Fontana riserva le battute migliori: «Di lui non mi fido. Perché non è qui con noi? Ha sbagliato a non venire». I leghisti che sfilano arrivano anche dalla Lombardia e dal Piemonte. Enzo Berrasconi è di Varese e sta chiacchierando con un gruppo di amici: «Era obbligatoria la nostra presenza qui. Bossi ci ha chiesto di aiutare il Pdl e quando lui chiede noi eseguiamo». Un pensiero condiviso anche da Salvatore Allegra di Tortona: «Il Pdl in Piemonte sta dando una grande mano a Cota e per riconoscenza oggi sono venuto qui per contraccambiare il favore. Dopotutto è risaputo: i leghisti sono i fedelissimi».