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A piazza San Giovanni è nato Forza Silvio

Renata Polverini e Silvio Berlusconi

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Il Pdl non nacque in piazza San Babila a Milano ma in piazza San Giovanni a Roma nel 2006. La svolta del Predellino di Silvio Berlusconi ebbe nei pressi del Duomo il suo picco sismico, ma tutto cominciò con quella oceanica manifestazione di fronte alla Basilica. La fine annunciata del governo Prodi coincise con l'inizio di un nuovo ciclo del centrodestra italiano. In poco tempo il Cavaliere riuscì nel progetto di fondere nel Pdl il nocciolo duro del vecchio Polo della Libertà, Forza Italia e An. Qualcuno disse che si trattava di una fusione fredda. Si sbagliava. Quel che è accaduto ieri, ancora una volta in Piazza San Giovanni, apre un altro capitolo di questa storia. Nel mio taccuino di appunti sulla manifestazione ci sono un paio di immagini che per me sono fondamentali ai fini di una corretta analisi dello scenario che ci attende in futuro. L'immagine chiave è quella di Umberto Bossi e Berlusconi insieme sul palco. Non è stata la loro presenza scenica a colpirmi, ma un'assenza: quella di Gianfranco Fini, co-fondatore del Pdl. Il fantasma del presidente della Camera non si è mai materializzato e credo che in piazza pochi ne abbiano sentito la mancanza. Ma agli occhi di un osservatore della politica quel vuoto, seppur imposto dal galateo istituzionale riservato alla terza carica dello Stato, ha un significato profondo. Berlusconi sul palco ha offerto un saggio di quanto sia potente il suo carisma sul blocco sociale che da sedici anni lo ha scelto come guida. Per quel popolo non è il leader unico, ma l'unico leader. Il resto del mazzo di carte non esiste, è un discorso puramente accademico perché ieri sotto i nostri occhi è nato Forza Silvio. Liberato dalle estenuanti mediazioni di palazzo, Berlusconi diventa un impareggiabile uomo d'azione e comunicazione. Il suo ruolo sul palco della piazza non era quello di oratore, ma di «macchina pensante» di tutta la scena: regista, scenografo, addetto alle luci, fonico, costumista e attore protagonista. Un micidiale autore di format politici di fronte al quale la prosa di Bersani sembra un grammofono gracchiante. Quel che Eugenio Scalfari imputa a Berlusconi come una colpa, in realtà è la sua forza: un uomo che non ha bisogno della mediazione del partito per catturare il consenso, un corpo e una voce narrante capaci di conquistare il cuore e la mente degli elettori. Se ne facciano una ragione, Berlusconi è questo fenomeno e difficilmente potranno sconfiggerlo con gli argomenti del salotto tv, del cenacolo intellettuale o della terrazza dove consumando caviale e champagne si sospira sulla «terribile dittatura del Cavaliere nero». Il carattere moderno del berlusconismo è proprio questo feeling costante tra il corpo del leader e il corpo elettorale. Il «moderno principe» teorizzato da Antonio Gramsci, il partito politico, con Berlusconi fa un passo indietro, si defila nel momento in cui si accendono le luci, sul palco compare il Cavaliere e si torna al Principe di Machiavelli. I lettori de Il Tempo sanno quanto per me siano importanti i partiti. Non li ho mai considerati un residuato del Novecento, non li ho mai dati per spacciati e penso siano necessari per la costruzione della democrazia. Il berlusconismo però ha nella leadership e nel carisma del capo la sua essenza e non è per niente facile conciliare un organismo come il partito, per sua natura complesso, che deve prendere decisioni collegiali, con un fenomeno che trascende l'organizzazione, la supera e spesso la rende inutile. Zavorra. É questa la vera sfida ancora incompiuta di Berlusconi. Egli ha dato voce al suo popolo con il voto, ma tramutarlo in una forza duratura - un'eredità preziosa da lasciare al sistema politico italiano, come il gaullismo in Francia- è un'opera da compiere e ci sono ancora tre anni di legislatura per farlo in parallelo a una Grande Riforma dello Stato che non è più rinviabile. Gianfranco Fini ha sempre detto di volere un centrodestra diverso, ha espresso appena qualche giorno fa con un ruvido «questo Pdl non mi piace» il suo pensiero. Tutto questo però non è sufficiente per essere un leader. Fini è stato un eccezionale traghettatore del suo partito verso le sponde della destra moderna. Ma il suo percorso a un certo punto si è fermato e addirittura ha preso una via opposta rispetto al sistema dei valori della destra. Berlusconi invece ha sempre cercato di fare la sintesi delle forze in campo, non ha mai avuto complessi di inferiorità culturale né si è mai preoccupato dell'opinione dei parrucconi della sinistra in cachemire quando ha messo sul binario istituzionale un partito secessionista come la Lega o, come oggi, dato spazio al vivissimo mondo della destra sociale (nelle sue varie espressioni) che soprattutto a Roma è l'elemento più dinamico e promettente della politica. Pochi ricordano che il Blocco Studentesco nella Capitale è riuscito a scardinare l'egemonia della sinistra nelle Università. Pensateci, parliamo di ricerca, studio, giovani. Un futuro che non ha bisogno di esser preceduto dal verbo «fare» perché è già una realtà che non ha bisogno di essere immaginata. Immagino gli articoli dei «giornali intelligenti» sul «pifferaio magico» di Arcore. È un arsenale retorico scarico, sono polveri bagnate e infatti gli elettori non cambiano idea. Berlusconi in un paio di occasioni le elezioni le ha perse, ma il Paese è rimasto profondamente berlusconiano. E il Cav ne è consapevole. Da ieri il Pdl è ancora di più un partito costruito su Berlusconi, è Forza Silvio. Le campagne sgangherate della magistratura lo rafforzano, il linguaggio arrugginito della sinistra lo rassicura, l'ignoranza della politica da parte dell'establishment lo rinnova. Qualcuno dirà che l'assenza di un delfino, lo spettro di un erede che non c'è in realtà sono una debolezza e mettono a rischio il futuro del centrodestra. Anche questa analisi è parziale e rozza. É vero che il Pdl senza Berlusconi oggi si squaglierebbe come neve al sole, ma ieri bastava osservare con attenzione lo snodarsi dei cortei, la liturgia della comunicazione, per capire che in realtà proprio a Roma c'è il materiale sul quale continuare questa formidabile «storia italiana». Il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, ha un'opportunità per cogliere l'occasione che Fini ha incredibilmente mancato. Il primo cittadino governa la Capitale, se saprà rendere meno incerta l'amministrazione, avrà un ruolo importante. Quando si celebrò il congresso fondativo del Pdl, il suo intervento sul palco mi sembrò promettente: ancorato alla politica della destra, alla tradizione, lontano anni luce dal pianeta finiano, saggiamente sulla scia della galassia berlusconiana. Vedremo se Alemanno è solo una cometa o un pianeta in espansione. Berlusconi è insostituibile ed è pericoloso immaginare giochi di palazzo per farlo cadere. Dopo le elezioni regionali, lo scenario sarà chiaro: la Lega avrà quasi completato il suo disegno egemonico sul Nord, ma il Pdl sarà l'unico vero partito nazionale rimasto sulla carta geografica. Toccherà a Berlusconi conciliare le ragioni del Settentrione con i problemi del Meridione. É un lavoro che può fare solo il presidente del Consiglio. E meno male che Forza Silvio c'è.

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