La partita della libertà
Presidente, il Pdl non c'è ma Berlusconi sì. Basterà a vincere nel Lazio? «È la prima volta nella storia della nostra democrazia che si vota, nella capitale d'Italia, senza la lista del più grande partito. Questa è la conseguenza di un’ignobile falsificazione, una vera e propria truffa della quale è vittima il Popolo della Libertà, ma soprattutto sono vittime i cittadini di Roma e della sua provincia. Nonostante questo, il PdL c’è eccome: i nostri militanti, i nostri dirigenti, e prima di tutti gli stessi candidati ingiustamente cancellati, sono impegnati nella campagna elettorale con determinazione, con entusiasmo, con rabbia per la sopraffazione subìta. Siamo tutti in campo, e io personalmente più di ogni altro, perché quella che si gioca a Roma è la partita della libertà e della democrazia. Se la sinistra vincesse per aver cancellato la lista degli altri, sarebbe un precedente pericolosissimo. Per questo a Roma c’è Berlusconi, c’è Renata Polverini, ci sono migliaia di donne e di uomini del Popolo della Libertà. Quale sarà, se ci sarà, il jolly finale di questa campagna elettorale? «Qualche sorpresa ci sarà - e se la rivelassimo non sarebbe più una sorpresa - ma certamente la nostra campagna elettorale non si basa su colpi di teatro. Non ne abbiamo bisogno. Contro la sinistra parlano i fatti. Parla la fine grottesca della amministrazione Marrazzo nel Lazio, ma anche il disastro Campania, gli scandali in Calabria e in Puglia, le contraddizioni della Regione Piemonte sulla Tav, la crisi dello stesso "modello Emilia"A fronte di questo, stanno le straordinarie performances della Lombardia e del Veneto governate da noi. Basti considerare che il sistema sanitario lombardo, per esempio, è considerato unanimamente il migliore d'Italia e fra i migliori d'Europa e sono migliaia i cittadini delle regioni rosse che vengono a curarsi in Lombardia e in Veneto. Gli elettori sono capaci di scegliere». Teme l'astensionismo su Roma? «Proprio perché il loro bilancio è catastrofico, la sinistra tenta di spostare la campagna elettorale dai fatti, dalle cose concrete, che interessano alla gente, alla rissa, alle calunnie, alle insinuazioni. Questa volta si è aggiunta anche la truffa delle liste, ai nostri danni. Tutto questo può stancare e annoiare l'elettorato, che si aspetterebbe ben altro dalla politica. Ma io sono certo che i nostri elettori sapranno distinguere il partito del fare da quello delle calunnie e non permetteranno a questa sinistra, ammanettata a Di Pietro, di continuare a governare le regioni italiane. Inoltre, qui nel Lazio aver indicato, o subìto, Emma Bonino, esponente di una vecchia cultura anticlericale, anticristiana fin nei presupposti, rozza e ideologica, e averla candidata nella città cuore della Cristianità, sembra una sciocca provocazione, che Roma e il Lazio non meritano». Roma può essere il laboratorio per costruire su nuove basi il suo partito? «Il Popolo della libertà non ha bisogno di essere costruito. Il nostro è un grande movimento, un ideale e un progetto che esistono nel cuore della gente, prima che negli apparati di palazzo. A Roma dopo molti anni di governo della sinistra gli elettori ci hanno affidato la guida della città, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo dimostrato di avere una classe dirigente di prim'ordine che l'elettorato ha premiato. Ora abbiamo tutte le carte in regola per governare la Regione con le nostre donne e i nostri uomini migliori. Fra essi naturalmente ci saranno coloro che sono stati ingiustamente esclusi con la cancellazione della lista provinciale nella Capitale, e che stanno lavorando insieme con immutato impegno nella campagna elettorale». Non teme il fuoco amico della Lega? I sondaggi parlano chiaro, al Nord farà il pieno. «I successi della Lega sono i successi di un partito della maggioranza. Non li temo affatto, anzi ne sono compiaciuto. Il fatto che la Lega, un alleato leale, si rafforzi, dev'essere per noi uno stimolo a fare come loro e meglio di loro. Per questo non sono affatto preoccupato. Al contrario, un po' di sana concorrenza ci fa solo bene, e ci aiuta a crescere tutti. In ogni caso, il Popolo della Libertà, che è un grande partito nazionale, rimarrà proprio per questo l'asse portante della coalizione di maggioranza». Renata Polverini riuscirà a completare la transizione da sindacalista a amministratore politico? «Renata non ha bisogno di trasformarsi. Le basterà portare nell'attività di governo della Regione la stessa grinta, lo stesso impegno, la stessa professionalità e concretezza che ha dimostrato per anni al vertice del sindacato. Sono convinto che il suo modo di lavorare, la sua abitudine a parlare con la gente, a confrontarsi con i problemi concreti, porterà a una svolta profonda nel modo di governare la regione. Con Renata Polverini avremo una regione più vicina alla gente». Lei sostenne la Bonino come commissario europeo. Pentito? «Ogni volta che faccio una scelta, non guardo allo schieramento, ma a chi, in quel momento, mi sembra la persona più adatta a quel ruolo. All'epoca la signora Bonino sembrava però la persona giusta per rappresentare l'Italia in modo unitario e non lacerante. E siccome per me l'interesse nazionale viene sempre prima delle logiche di schieramento, oggi - nelle stesse condizioni - mi comporterei come allora. Certo, a posteriori non si può dire che il passaggio della Bonino in Europa abbia lasciato tracce. In compenso, ha utilizzato quel ruolo per farsi una notevole pubblicità personale. Emma Bonino è una professionista della politica: quella politica fatta solo di parole che gli elettori non sopportano più. Rimane il fatto che forse la Bonino qualcosa sull'Europa lo avrà anche imparato, ma di Roma e del Lazio questa signora piemontese non mi risulta si sia mai occupata». Lei dichiarò che Roma era come l'Africa. Lo ridirebbe oggi, oppure va meglio con Alemanno? «Che le cose stiano cambiando, credo se ne siano accorti tutti i romani. Ma - certo - i problemi strutturali di una metropoli come Roma, trascurati e lasciati incancrenire per decenni, non si risolvono in un anno o due. Richiedono un grande lavoro. Roma, che è la città più bella del mondo, oltre che il simbolo della nostra Patria, merita un impegno straordinario. Siamo solo ai primi passi, per quanto importantissimi». Quanta gente si aspetta alla manifestazione? Non teme il confronto con quella del 2 dicembre 2006? «Non saprei e non voglio dare dei numeri. Ma posso dire che sabato sarà, proprio come nel 2006, una grande festa di popolo. Un'invasione gioiosa, serena, pacifica, dei moderati, delle persone per bene, che vogliono cambiare e far crescere questo paese. Chiedo scusa in anticipo ai romani per qualche disagio che potrebbe derivare dalla presenza di tante persone. Ma Roma e i romani, che nel 2006 hanno riservato alla gente del Popolo della Libertà un'accoglienza splendida, anche questa volta sapranno riconoscere chi ama la loro città. Oggi saremo in piazza per dire chiare e forti le nostre proposte e le nostre idee, le cose concrete alle quali la gente si interessa davvero. Ma saremo lì anche per difendere il diritto dei romani, di tutti i romani, a votare liberamente scegliendo i propri candidati». Si trova a fare la campagna elettorale anche con la parte più dura di An a Roma, quella della destra sociale, degli ex di Terza Posizione. È un esempio di fusione ben riuscita del Pdl? «La fusione è ben riuscita quando gli elementi che si sono fusi sono così strettamente legati da non potersi più distinguere. E oggi tutto il Pdl è unito intorno a un progetto, intorno a dei valori ed ideali comuni. Naturalmente esistono diversi apporti, che nascono dalle storie individuali. La tradizione della destra italiana in questo ambito ha una funzione importante. È una tradizione che non mi è affatto estranea, che faccio mia, come leader del PdL, naturalmente nell'ambito di un sistema di certezze democratiche». L'economia ripartirà? Non è giunto il momento di diminuire la pressione fiscale? «L'economia sta già ripartendo. I cittadini e le aziende soffrono ancora gli effetti della crisi, ma tutti gli indicatori ci mostrano che ormai si vede la luce in fondo al tunnel. Proprio la progressiva uscita dalla crisi ci metterà nelle condizioni di realizzare quella riforma fiscale e quella riduzione della pressione fiscale che è uno degli impegni qualificanti del nostro governo». Goldman Sachs ha premiato in un report la gestione dei conti italiani e il polso fermo di Tremonti. È segno che possiamo ripartire? «È segno di quello che solo la miope sinistra italiana non vuole vedere. E cioè il fatto che in tutto il mondo la gestione prudente e responsabile della crisi economica messa in atto dal nostro governo riscuote ammirazione e consenso. I nostri avversari, e i giornali della sinistra, tanto bravi a citare la stampa estera quando essa ci attacca non hanno voluto accorgersene». Giustizia, lei è in campo da sedici anni. Non è giunta l'ora di fare la riforma e lasciar perdere l'idea di voler sempre accontentare tutti a ogni costo. «La sua domanda smentisce un'altra delle calunnie delle quali siamo vittime. Io non ho mai voluto una prova di forza con la magistratura. Se avessimo voluto adottare una politica punitiva nei confronti dei magistrati, lo avremmo già fatto da tempo. I numeri parlamentari ce lo permettono. Ma non è questo che vogliamo. Non sarebbe nell'interesse della collettività. Vogliamo invece soluzioni equilibrate, che ristabiliscano il corretto rapporto fra politica e giustizia, la divisione fra i poteri e gli ordinamenti dello stato, che valorizzino i tanti magistrati corretti che lavorano con grande professionalità senza cercare visibilità. Quello che non permetteremo più, nel modo più assoluto, è che il protagonismo di pochi magistrati, ideologizzati o semplicemente smaniosi di protagonismo, getti discredito sull'intero sistema giustizia, e metta a rischio i diritti e le libertà dei cittadini. Il fatto che una parte minoritaria ma significativa della magistratura si sia data come compito non applicare le leggi, ma condurre una campagna di denigrazione verso chi è stato scelto dai cittadini per governare l'Italia non è tollerabile in nessun paese democratico. Il fatto che la vita privata dei cittadini onesti possa essere spiata, frugata, sbattuta sui giornali con un sistema di intercettazioni invasivo, costosissimo, e del tutto inutile ai fini della sicurezza, è uno scandalo al quale abbiamo il dovere di porre termine. Il fatto che il giudice non sia davvero terzo fra chi accusa e chi difende, ma sia vicino, contiguo, collega dell'accusa, non esiste in nessun paese di democrazia occidentale. Il fatto che per colpa dell'inerzia di alcuni magistrati molte cause si trascinino per decenni, e intanto si sprechino ingenti risorse per colpire il Presidente del Consiglio, i suoi familiari, i suoi collaboratori più stretti, naturalmente senza ottenere alcun risultato, è la negazione del concetto stesso di giustizia. Per questo una grande riforma organica del sistema giudiziario è una delle più importanti e urgenti riforme strutturali alle quali metteremo mano subito dopo le elezioni. È una parte di quella grande riforma dello Stato che serve a portare l'Italia verso l'Europa del 21° secolo, a farne un paese più efficiente, più prospero, ma soprattutto più libero».