Nanni con la spesa nella piazza urlante
Che faccio? Ci vado? O non ci vado? E se ci vado, che faccio? Entro o non entro? Deve esserselo chiesto a lungo Nanni Moretti. Alla fine non resiste e il naso ce lo infila dentro piazza del Popolo. Giusto un attimo, poi via. Anzi, Nanni ci va ma fa vedere che è di passaggio, era qui a fianco e, sapete com'è, la curiosità. Lui è così. Così studiato nei minimi particolari. Come a voler santificare il suo aristocratico distacco dalla sinistra. Da questa sinistra. Cappotto blu, maglioncino chiaro, pantaloni di velluto scuro. E busta della spesa di Todis in una mano. Il regista che disse «con questa classe dirigente non vinceremo mai» e quelli sono ancora lì (e lui pure) torna in una piazza, torna a manifestare. O almeno a guardare la piazza, la gente. Leggermente ingrassato, viene riconosciuto lo stesso. Quasi se ne vergogna, cerca una via d'uscita, vuole scappare via. «Nanni, Nanni», lo chiamano e lui si ferma. Gli chiedono di farsi la foto assieme come se fosse un cantante pop, un giocatore di calcio, un Berlusconi qualsiasi. Ma lui è Moretti. Quello di «Ecco Bombo», il film che girò assieme ad Augusto Minzolini. Sì, proprio quel Minzolini così odiato dalla piazza, fischiato e sbeffeggiato. Certo, era un Minzolini diverso: aveva qualche capello in testa. Ma Nanni no. Ha le sue certezze. Lo supplicano con le macchinette fotografiche in mano all'incrocio tra piazza del Popolo e via Ferdinando di Savoia. Lui fa quella faccia lì. Quel misto di «No, la foto no», «oddio che palle», «mamma mia come parlate male e come siete vestiti peggio». Poi, invece, proprio come il Cavaliere, si sottopone al rito quasi iconografico. Quindi si guarda attorno come farebbe un ladro di mele, imbocca una traversina per svanire nel nulla. Scappare via. Dalla piazza. Proprio quella piazza che in fin dei conti sembra uscita dal film «Il Caimano». Piazza che urla ma non ha nulla da dire. Piazza incazzata. E questo lo abbiamo capito. Ma contro chi, non si sa. Contro Berlusconi, il caro vecchio Berlusconi: se non ci fosse lui, sarebbe un problema. Ma non solo. «Legittimo un cazzo», c'è scritto su uno striscione sulle mura di fronte al palco. «Berlusconi porta sfiga», si legge su un altro ed elenca: crisi, terremoto... Un avviso generico su quello a fianco: «Il tempo è scaduto, lavoro e giustizia subito». In tanti girano con cartelli di carta su lunghi pali: «Basta». Così, in assolo. Basta. Punto. Un altro striscione, questo dietro al palco: «Smetttetela». Poi ci sono le proteste sempre generiche ma un po' più circoscritte: «Chi di corruzione s'arricchisce, di ingordigia perisce», è scritto su un altro cartello che ha costruito su un bel collage. Non si risparmia nessuno. Su un altro cartello bianco con scritta rossa si legge: «D'Alema: 1, chiedi scusa. 2, vattene». Ce n'è anche per l'«eroe di giornata»: «Tanato Minzolini, fuori dalle palle». Sembra un linguaggio di destra. Scurrile. Volgare. Incivile, triviale. Un po' fascista. È una piazza senza sorrisi, senza ironia. Non c'è spazio per la satira. No, per carità. È una piazza che ce l'ha con il mondo. Un uomo in macchina, anche di sinistra perché sui sedili posteriori ha una bella copia di Repubblica, viene bloccato davanti alla sede dei carabinieri. Una signora in viola gli si piazza davanti, si sente tanto lo studente cinese che fermò i carri armati in piazza Tiennament. Gli urla contro: «Fermo, devi stare fermo. Questa piazza è nostra, l'hai capito o no? Non puoi passare». Si aggiungo altri, tutti rigorosamente vestiti di viola: «Scendi, devi andare a piedi. Oggi si manifesta, non si va in macchina». Litigano fra loro. Davanti al bar Canova due vecchiette se ne stanno sedute a riposarsi ma impediscono il passaggio ai viola che vogliono uscire dalla piazza. Una signora perde la pazienza: «Porca puttana, voglio uscire, mi faccia passare». Ma una delle due spiega che non ce la fa, è stanca, un metro più in là può approfittare di un varco. Ma la signora non ci sta: «Ma questa è una piazza di sinistra, cazzo. Deve prevalere la solidarietà. Se ne vada». Urla. L'importante è urlare. Contro tutto e tutti. Un popolo di incazzati che non si pone il problema del governo. Una piazza che si sente tanto dipietrista. Una piazza vecchia, prevalentemente cinquanta-sessantenni. Giovani, ragazzi, non se ne vedono. Qualcuno s'affaccia ma preferisce lo shopping del Tridente, il caffè a via del Babbuino e la passeggiata in via del Corso che questo strazio del popolo vociante. Ride solo il cingalese che s'aggira con la finta pashimina. Quanto costa? «Cinque euro». Ma che cinque. «Vabbè, fai tre. Oggi le ho vendute quasi tutte, me ne restano solo due».