Una storia di Volponi
Di tutti i lati oscuri dell'omicidio di Simonetta Cesaroni, quello meno esplorato è la società per la quale la ragazza lavorava. La «Reli sas» di Salvatore Volponi e di Ermanno Bizzocchi, aveva sede al Casilino in via Maggi. Una società di servizio che gestiva la contabilità per vari clienti. Tra questi l'A.I.A.G., l'associazione per gli alberghi della gioventù, sede in via Poma 2 al terzo piano, al quartiere Prati. Dall'altra parte della città. Quel 7 agosto non era la prima volta che Simonetta Cesaroni andava a lavorare nell'ufficio degli alberghi della gioventù. Due volte a settimana, come risulta dagli accertamenti svolti dagli investigatori. Eppure, Simonetta non racconta a nessuno dei suoi familiari la circostanza. Non solo. Salvatore Volponi la sera del 7 agosto, quando Paola Cesaroni lo chiama per sapere dove sia la sorella afferma di non saperlo. Si decide a parlare solo dopo le insistenze e la minaccia di chiamare la polizia. E Salvatore Volponi quando arriva in via Poma con i familiari di Simonetta, in quell'ufficio che «non sapeva dove fosse» si rivolge alla portiera, Giuseppa De Luca, moglie di Vanacore, e le dice «Non si ricorda di me?». Volponi aveva quindi mentito a Paola. Volponi tace su molti dettagli del lavoro di Simonetta. Sono le testimonianze delle colleghe che confermano. Infatti, la mattina del 7 agosto Simonetta è nella sede della Reli in via Maggi. È lì per discutere con Volponi delle sue ferie. In quell'occasione il datore di lavoro comunica a Simonetta che nel pomeriggio deve recarsi nell'ufficio di via Poma. Poi come d'abitudine si sentiranno al telefono verso le 18,30. La telefonata non ci sarà, ma Volponi non si allarma. Almeno questo sembra accadere. La conferma della presenza frequente di Simonetta in via Poma, arriva con le testimonianza di una dipendente dell'Aiag, Anita Baldi. La donna ha sostenuto davanti al pm Cavallone che era l'avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, presidente degli alberghi della gioventù, a chiedere che Simonetta Cesaroni lavorasse presso di loro. Da sola, aveva lavorato in via Poma il 31 luglio, il giovedì 2 e il giorno successivo 3 agosto. Trascorso il fine settimana, il martedì 7 agosto, Simonetta Cesaroni era tornata nella sede degli alberghi della gioventù. Volponi tra l'altro sa molte cose su Simonetta. Cose che non riferisce a nessuno. Né agli investigatori né ai familiari. Lo farà dieci anni dopo in un libro dove rivela che Simonetta a quel tempo frequentava un altro ragazzo. Chiamato a riferire ai magistrati liquiderà l'episodio con un «pensavo non fosse importante». L'attività di Simonetta nell'ufficio di via Poma era rimasta sempre nebulosa. Così come nebulosa è la figura di Francesco Caracciolo di Sarno, titolare di una fattoria nella Bassa Sabina, la tenuta Tarano ora trasformata in un agriturismo. Quel 7 agosto Caracciolo ufficialmente era in campagna. L'avvocato non ama la pubblicità. A una giornalista del settimanale «Oggi» che riesce a incontrarlo nel giugno scorso, Francesco Caracciolo dichiara: «Dica che non ci sono più». Di fatto vive come un eremita. Eppure qualcuno telefonò all'utenza del suo fattore, Mario Macinati, nel pomeriggio del 7 agosto e poi la sera, prima del ritrovamento del cadavere di Simonetta. Due telefonate partite dall'ufficio di via Poma. Due telefonate che si ricollegano alla famosa «agendina Lavazza» di proprietà di Pietrino Vanacore rinvenuta dalla polizia nell'appartamento del delitto. Il conte Francesco Caracciolo resta così nell'oblio delle indagini e nella ambiguità sospetta di contatti con i servizi segreti. Infatti l'azienda che ha fornito il software per la gestione contabile del computer sul quale lavora Simonetta è di una società collegata ai servizi segreti. La Insirio spa è anche la ditta chiamata dai magistrati a fare la perizia su quel computer. Francesco Caracciolo ha sicuramente buoni contatti e rapporti nei posti che contano. Riesce a far ripulire l'appartamento da una ditta specializzata appena cinque giorni dopo l'omicidio. Una pulizia a fondo. In assenza di Luminor, lo speciale mezzo per rilevare tracce di sangue, all'epoca diviene impossibile trovare elementi ematici. Non solo. Alla fine di quell'anno maledetto, Francesco Caracciolo decide di trasferire la sede dell'Aiag. Vende i vecchi mobili, e nessuno sa dove siano finiti.