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I fantasmi del passato

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Elisabetta Di Leonardo, modella uccisa a Roma nel 1986 in via dei Prefetti

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Paiono essersi chiamati a convegno. Come incoraggiati dal tempo infame, forse persuasi di essere davvero invisibili, sotto la pioggia che flagella la città. Eccoli di nuovo, i fantasmi inquieti di Roma. Insorgono per la millesima volta contro il proprio destino, nel timore di non essere più dissepolti dalla memoria collettiva, intimoriti di sbiadire come la carta delle pagine di cronaca nera di venti o trent'anni fa. Reclamano giustizia, cercano di tirar giù nell'Ombra quelli che sanno o che potrebbero sapere. E gli assassini, e i testimoni. I collusi e i pentiti.   Nessuno dorme sonni tranquilli, tra quanti si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. La congiunzione astrale è di quelle che, nel giro di poche ore, tratta la resa fra i morti per mano violenta, gli scomparsi senza traccia, i loro aguzzini. Quanti ce ne sono, di questi spettri infelici? Più di quanti abbiano già un nome tra i fascicoli processuali. Ecco Angelo Izzo, che sarebbe persino consolatorio liquidare come un seminfermo di mente, se non fosse che al Circeo, in quella orrenda notte di fine estate '75, il branco non poteva farsi contagiare dalla pazzia di un individuo, semmai ma dalla sete di sangue, il lampo infernale che pretende la mattanza. Con Rosaria morta subito e Donatella mai veramente estratta del tutto dal bagagliaio dove l'avevano rinchiusa. Izzo che, subito dopo essersi sposato con chi dice di amarlo nel profondo (perché le vie dei sentimenti sono più imperscrutabili di quelle della ragione), va a testimoniare a Brescia, al processo per la strage di Piazza della Loggia.   E cosa racconta? Che «purtroppo», sottolinea, quando era in semilibertà, «un po' per megalomania, un po' per pressioni e per una serie di problemi, è venuta fuori la mia parte violenta». Ma non sta rivisitando i suoi altri delitti, quelli già scoperti della moglie della figlia di un pentito della Sacra Corona Unita, ma «di altri reati gravi da me commessi, e forse un giorno ne parlerò, questa non è la sede». Cosa affiorerà, dalla sua anima nera? Chi manca all'appello? Quali ossa sconosciute giacciono umiliate in sepolcri incongrui? Da via Poma al Vaticano, in uno stretto giro topografico, la Capitale avverte il brivido di conti mai regolati. Giovani donne certamente uccise, come Simonetta, o inghiottite nel nulla, come Emanuela.   D'improvviso tornano a fissarti con quegli occhi inconsapevoli, prima del giorno fatale, in foto bianco e nero scolpite nella testa di tutta una comunità che non ha mai smesso di cercarne gli assassini, inconsciamente, o loro stesse. Pietrino inghiottito in una maledizione di un metro e mezzo d'acqua, con i suoi enigmi fatti di niente o forse rivelatori; l'amante del boss che indica nomi, circostanze, piste lontanissime dai vaniloqui turchi di Agca. E in mezzo famiglie che non sanno cosa augurarsi, pur di trovare una labile ma definitiva forma di compianto. Quante ne restano da avvistare? Dov'è Mirella Gregori, trattata come una figurante e non come una tragedia parallela nel caso Orlandi? Per lei, neppure un cane da fiuto in movimento, una ragazza destinata a far echeggiare i suoi eterei passi negli "approfondimenti" della storia di Emanuela, quasi non meritasse una cerimonia d'addio tutta per sé. Al massimo, la archivieranno nel vasto "file" degli scomparsi senza ritorno: qualcuno probabilmente suicida, ma in mancanza di cadavere, come scoprirlo? Il professor Federico Caffé, insigne economista, o il consigliere della Corte d'Appello Paolo Adinolfi o il sottufficiale della Marina Militare Davide Cervia, esperto di armi elettroniche. Sarebbe un sollievo se ci fosse una soluzione alla «cherchez la femme», piuttosto che il timore di un rapimento, di una spy story, della volontà di farla finita. Ma questi fantasmi incorporei incombono sui vivi non meno di quanti sappiamo essere per certo in un qualche aldilà. Come la contessa Alberica Filo della Torre, ammazzata da non si sa chi all'Olgiata, o la commercialista Antonella Di Veroli, chiusa da un killer senza volto in un armadio, o la modella Elisabetta Di Leonardo, straziata da una mano senza impronte nel suo tugurio da bohéme in via dei Prefetti, dove era capitata sognando la bella vita capitolina, e precipitando nell'abisso dal quale, presto o tardi, invocherà anche lei vendetta.

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