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Raniero, freddo innamorato faceva soffrire Simonetta

Raniero Busco durante i funerali di Simonetta Cesaroni, uccisa a coltellate nel 1990 in un condominio di Via Poma a Roma

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Lei affettuosa e stretta al suo primo amore, lui quasi freddo e distaccato. Sono le due temperature del rapporto tra Simonetta Cesaroni e Raniero Busco. Lei 21 anni, lui 24, dopo vent'anni sul banco degli imputati con l'accusa di averla uccisa. Lei lo scriveva nel Natale '89. «Sono sempre più in basso e la cosa peggiore è che non riesco ad uscirne. Tante volte mi sono svegliata la mattina convinta che l'avrei fatta subito finita, ma una volta davanti a lui non ne ho avuto la forza». Negli anni delle inchieste, magistrati e investigatori hanno cercato il possibile movente di questo delitto. Da manuale si uccide per soldi o passione, odio o interessi economici che si è convinti che solo la morte possa saldare. Ma nella storia sentimentale tra i due fidanzati non sono state rinvenute tracce di questo livore. Almeno per ora. «Se amarlo significa star male, annullare se stessa, allora no, deve finire - proseguiva lei nella lettera-sfogo - Ieri sera per l'ennesima volta mi ha presa in giro, voglio odiarlo, odiarlo più di quanto lo amo, sono nauseata, disgustata da tutto questo non solo di lui, anche di me stessa perché non ho abbastanza rispetto di me per dire basta una volta per tutte. Hai ragione tu. Io merito qualcosa di più, qualcosa di vero e pulito». «Ho sempre sognato di essere una donna - scriveva Simonetta in un'altra lettera a un'amica - ma per fare una donna ci vuole un uomo e non so se riuscirò a trovarlo. Ho imparato a mie spese che amare qualcuno non significa necessariamente essere felici perché amare senza essere riamati è sinonimo di sofferenza, solitudine continua e incessante. L'amore è fatto di piccole cose, un sorriso, una carezza... Invece io l'unica cosa che ho ricevuto in cambio è indifferenza e sesso. Tutto è così squallido. Mi fa sentire un oggetto nelle mani di una persona e la cosa brutta è che sono cosciente del fatto che un giorno, quando si sarà stufato di me, mi lascerà e sarà fiero di se stesso. Vorrei che almeno una volta mi dicesse ti amo. Toccherei il cielo con un dito. Quest'anno caro Babbo Natale vorrei una cosa, forse l'unica che mi manca: il suo amore». Quelle parole sono la cornice di un rapporto mai cresciuto a storia vera: era importante per l'una, superfluo per l'altro. È la doppia trama comune ai legami dove lei sogna e lui si diverte. Simonetta amava l'amore, specialmente il primo, e non avendolo con l'intensità che desiderava, compensava questa mancanza anche con la poesia delle parole. La notte del ritrovamento del suo cadavere, il 7 agosto '90, gli investigatori trovarono nella borsa della poveretta i versi di una canzone di Lucio Dalla scritti a penna con grafia chiara: «Di che cosa mi dovrei pentire, di giocare con la vita, di prenderla per la coda? E per che cosa mi dovrei pentire - continuano i versi trascritti da Simonetta - di giocare con la vita, di prenderla per la coda? Tanto un giorno dovrà finire, tanto all'eterno ci ho già pensato, eterno è anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato». Questa distanza senza colpa l'ha ammessa lo stesso Raniero Busco: «Il nostro era un rapporto con alti e bassi, basato sulla fiducia e il rispetto. Non c'è mai stato nessun litigio. Sicuramente da parte sua c'era più coinvolgimento». E la sorella di Simonetta, Paola, a lui questa distanza gliel'ha rimproverata, descrivendolo persona troppo superficiale, ma pure intollerante. Il 6 settembre 2007 la vecchia storia con Simonetta è diventata un incubo. Busco, sposato, padre di due figli e dipendente Alitalia, è stato indagato per l'omicidio della sua ex. La magistratura e le perizie lo vorrebbero incastare sulla base di tre tracce rinvenute dalla nuove tecnologie della polizia scientifica: morso sul seno sinistro, saliva sul reggiseno di Simonetta e tracce di sangue sulla porta. Le controperizie della difesa tentano di demolire il castello dell'accusa sostenendo che i risultati degli esami non sono così certi, cioè sono compatibili ma non inchiodano Busco. E ancora: non è poi così strano rilevare la saliva del fidanzato sul reggiseno della fidanzata. E in ultimo il morso: l'impronta dei denti rischia di non combaciare, è passato troppo tempo, e quindi l'avvocato di Busco ritiene che sfumerà la possibilità che nel processo diventi prova regina, un elemento così schiacciante da non potersene liberare. Il 16 febbraio, giorno d'udienza del caso via Poma, a tracciare col sospetto il profilo dell'ex fidanzato è stata la sorella di Simonetta, Paola. Ha riferito che Raniero non voleva che lei andasse in vacanza in Sardegna. Poi la storia dell'anticoncenzionale. Busco faceva sesso non protetto pensando che Simonetta già prendesse precauzioni. E quando ha scoperto che non era così, sarebbe andato su tutte le furie. Questo il percorso del pubblico ministero Calò, puntellato con le dichiarazioni dei familiari di lei. Ma anche Busco ai suoi cari dalla sua. «Sono arrabbiatissima per questa vicenda ma molto combattiva - ha reagito la moglie, Roberta Milletari - Gli ultimi tre anni sono stati massacranti: mi auguro che sia l'inizio della fine. Non abbiamo paura, non ci dobbiamo nascondere da nulla, la verità verrà fuori». La moglie dell'imputato ha affermato che «è l'innocenza che ci fa andare avanti». Milletari ha detto di conoscere Busco dal 1991 e di essersi sposata con lui nel 1998. «Abbiamo due figli gemelli di otto anni, cui abbiamo dovuto fare alcuni accenni della vicenda del padre». A chi gli chiedeva come i figli avessero reagito a questa vicenda, la donna ha risposto: «Uno dei miei figli mi ha chiesto come mai Simonetta si trovava da sola lì in quel giorno».  

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