Nathaly assolve Pietrino
.Parole e similitudine di Nathaly Caldonazzo, da noi intervistata sulla vicenda di Pietrino Vanacore, memore di un lavoro teatrale, «La Trappola» con Giancarlo Zanetti. «Un thriller psicologico - spiega la bella attrice - che mi ha avvicinato molto, anche grazie alla dinamica del racconto basato su ipotesi e mai di certezze, alla vicenda umana di Vanacore». Nathaly, lei ha sempre seguito il delitto di via Poma? «Quando accadde ero una bambina e la percezione del fatto fu minima: ero troppo distante da quel tipo di informazione, sicuramente più vicina alle bambole che agli omicidi. Poi, però, quella storia mi ha incuriosito profondamente». Qual è il principale motivo del suo interesse per l'omicidio di Simonetta Cesaroni? «Il fatto che se ne parli da vent'anni e ancora non sia stato trovato il colpevole». Si è fatta un'idea di chi potrebbe essere l'assassino? «Personalmente no, ma credo che siano in molti ormai a saperlo». Il suicidio di Vanacore potrebbe essere stato istigato? Lei crede alla possibilità di un delitto «mascherato»? «No, penso soltanto a una tragedia umana». Che idea si è fatta del portiere pugliese? «Penso, con grande pena, a un essere umano che si è tolto la vita dopo essere stato perseguitato senza pietà per vent'anni». Qualcuno ha ipotizzato un passaggio di danaro per comprare il suo silenzio: crede a questa pista? «Sinceramente no, perché chi è ricattato per così tanto tempo è capace di gestire il gioco, ha una personalità deviata e quindi, a livello delinquenziale, forte. Non mi sembra proprio il caso di Vanacore, persona assolutamente antitetica a questo quadro: debole, confuso, stanco e ormai deciso a un solo, drammatico e ultimo passo». Per arrivare al suicidio però... «No, non voglio cavalcare altre piste se non quella della disperazione. Se penso a Vanacore immagino un uomo che ha vissuto un'esistenza priva di grandi soddisfazioni, una vita di retroguardia, di orari precisi, di una casa buia nel sottoscala, di uno stipendio misero. Poi, all'improvviso, una popolarità inaspettata quanto non voluta. Di sicuro non produttiva e nemmeno sufficiente a tenerlo lontano dall'inizio di un tormento». La pensione, il ritorno al suo paese natìo, in Puglia, non avrebbe dovuto aiutarlo? «Purtroppo è accaduto l'esatto contrario: la sua depressione è diventata ancor più evidente. Secondo me, anche se l'impatto mediatico era notevolmente ridotto nei suoi confronti, la lontananza da una vita attiva, o quantomeno cadenzata, ha lasciato il posto a nuovi problemi». Qual è stato il fattore nuovo in questa seconda vita? Perché il ritorno in un piccolo centro non si è trasformato per lui in un «buen retiro»? «Può sembrare incredibile, ma la gente è invidiosa anche dei drammi. L'"importante" è che ti abbiano portato sulle prime pagine dei giornali o in televisione. In un piccolo paese è più facile cogliere una pressione di questo tipo che per giunta non ha filtri: è diretta come una spada, quella del sospetto. In certe situazioni logistiche gli innocentisti sono merce rara. Per questo credo che le nuove comunicazioni per comparire in tribunale, per giunta con moglie e figlio, siano state ulteriore linfa per un gossip ormai intollerabile per un uomo distrutto. E ormai solo con stesso». Qual è la sua speranza? «Che Pietrino Vanacore abbia lasciato scritta tutta la verità su quel delitto da qualche parte». Lei ha un figlia di cinque anni e mezzo: è preoccupata di vederla crescere a Roma? «Ci rifletto spesso. La mia non è una città violenta, ma è diventata pericolosa. Soprattutto a causa dell'ingresso di molti extracomunitari cacciati dai Paesi d'origine per i reati commessi. E degli zingari. Mai come oggi è necessario monitorare le frequentazioni dei figli, avviare con loro un dialogo costante e un rapporto di fiducia. Oggi frequento tante mamme e papà straordinari: ecco, invito tutti, me compresa, a mantenere alto il livello di qualità e di presenza anche negli anni a venire». E di Simonetta cosa pensa? «Dalla sue lettere, da quanto ho appreso dai giornali era una ragazza dolcissima, romantica. Ancora sentimentalmente adolescente e desiderosa di vivere un sogno: chiedeva solo amore. Mi si stringe il cuore». Interpreterebbe il ruolo di quella povera ragazza in un un film? «Sì, ma solo dopo che sarà risolto il "giallo". E ci vorrà uno sceneggiatore straordinario, in grado di ricomporre le tessere di un mosaico così variegato». Per adesso Nathaly Caldonazzo pensa a ultimare le prove di «Uomini sull'orlo di una crisi di nervi», in locandina dal 19 marzo al teatro «Golden» di via Taranto a Roma, per la regia di Alessandro Capone. Accanto a lei, Roberto Ciufoli, Massimiliano Giovannetti e Paolo Ricca.