Se il delitto è imperfetto
Hai voglia a rileggere Cicerone o Dostoevskji o Maigret. O riguardarti al ralenty tutti i film di Hitchcock. Te lo ripetono in tanti, che il delitto perfetto non esiste. Il guaio è quando non si capisce chi sia l'assassino. E allora lì serve Gadda, perché il pasticciaccio non si sbroglia, lo "gliommero" delle indagini resta aggrovigliato fino all'ultima pagina del racconto. È a quel punto che l'anima fa crac, e con uno schianto improvviso cede, fosse pure passato un secolo dal momento in cui arriva il poliziotto per chiederti: «Lei dov'era a quell'ora?», e ti chiede di seguirlo per una «pura formalità», per quella che è una procedura inevitabile, ma «rapida», poi ci si dorme su e questo brutto incubo svanirà all'alba. Macché. Tu non hai sfogliato i classici, hai avuto un'istruzione modesta, e quel lavoro devi difenderlo con i denti. Ci mettono un attimo a buttarti fuori da quello stabile di "signori", in quel quartiere che non vuole grane, così piemontese da dare le spalle, quando lo realizzarono, alla santità del Cupolone. Ti buttano fuori dalla guardiola e ti sbattono dentro una cella non più grande, e ti vien l'impulso di pulirla, come per un riflesso condizionato. Ma non sei l'assassino, ti prosciolgono, sei un uomo libero, pacche sulle spalle, l'aura dell'innocente ingiustamente perseguitato. Potresti guardare dritto nelle pupille quelli che ti hanno sospettato. Ma in questo delitto imperfetto l'assassino non c'è. E allora continuano i sussurri: non potevi non sapere, non potevi non esserci, copri qualcuno. E quelle due telefonate subito dopo l'omicidio, con Simonetta lì per terra a un metro. E l'agendina. E quella scena del delitto così linda, tirata troppo a lucido. Vorresti scappare da tutto questo, ma la tua ombra si tira dietro quel pissi-pissi dannato anche dove sei nato, dove gli amici ti fissano negli occhi e capiscono se nascondi qualcosa o se possono specchiarcisi dentro. Vorresti dimenticare, ma la maledizione di quel caseggiato ti insegue. C'era già stato un altro killer, dentro quelle mura. Sei anni prima, una pia signora ammazzata al ritorno dalla messa vespertina. E un altro portiere, il sor Giulio, la cui testimonianza era parsa decisiva per inchiodare i parenti dell'ammazzata. Una questione di eredità. Poi anche lì lo "gliommero", un caso irrisolto, il colpevole svanisce nel nulla. E tu capisci che non erano divinità benedicenti, quelle che presidiavano via Poma, che a scavare sotto la strada magari ci trovi dei Lari e Penati incazzati dai tempi dei romani antichi, e qualcuno dovrà pagarla, in quello stabile - il "Palazzo dell'Ala" - tirato su da una cooperativa di ufficialoni di Esercito, Carabinieri e Aeronautica. Strano, potresti pensare: questi mattoni impilati per rassicurare, con tutte quelle divise dentro. L'ordine, la sicurezza, la quiete. E invece. Quel caos che hai dentro non potrà mai placarsi, finché non trovano l'assassino. Finché quello non dice al mondo e agli investigatori: lui non c'entra, lasciatelo in pace. Ma quello non si materializza mai, figuriamoci. Semmai, il caso freddo torna a riscaldarsi quando il palazzo maledetto regala a qualche detective più ostinato una traccia di archeologia criminale: delle macchie sul lavatoio che non servono a nulla, se non a far pensare che chi altri può essere stato, con tanta perizia e un simile zelo? È come una seduta onirica dell'angoscia, rispuntano frammenti del dubbio, la cronaca nera che ha fame e cerca prede a basso costo. I sospetti che tornano a farsi gramigna, avvolgendo il delitto imperfetto. E allora senti che non ci sarà mai pace, perché anche la tecnologia può uccidere. Certo, senza volere: in modo colposo, neppure preterintenzionale. Vogliono solo incastrare qualcuno, e quel qualcuno ti chiamerà a «dire ciò che sai». Sei preso anche tu nel bacio mortale da cui scaturì la saliva sul reggiseno dell'uccisa. Non glielo desti tu quel morsetto passionale, ma ecco che la pellicola si riavvolge, e gli strumenti sofisticati ora «a disposizione» degli investigatori scopriranno in che modo sei intrappolato, in questa storiaccia. Lo vedi in tv, nei telefilm: materiali archiviati per anni, elementi dimenticati in una scatola o in un magazzino, poi quello più cocciuto fra i segugi li ritira fuori, e la squadra utilizzerà mirabolanti ritrovati chimici, luci blu, microscopi, solventi, computer, manichini. Farà simulazioni per capire dove accidenti stavi, quando la vita di quella ragazza arrivava allo stop e il tuo semaforo interiore avrebbe per sempre lampeggiato sul giallo. Sai che li chiamano "cold case", gli americani sono bravissimi, almeno nella fiction. In Italia giurano di essere infallibili: fanno vedere immagini di esperti in tuta bianca che entrano nelle stanze dell'orrore, trovano schizzi nascosti di sangue rappreso sui muri, sui pavimenti, nella coscienza del killer e dei suoi complici. Impossibile sbagliare. Ma tu sai che si incasina sempre tutto. A Garlasco, quell'altra ragazza: nessuno si era accorto che il gatto gironzolava per casa, mentre gli infallibili spennellavano le pareti con il luminol. E quel presunto materiale organico sotto il pedale della bicicletta? E il pc dell'indiziato che fornisce nuovi alibi quando già tutti lo chiamano mostro? E Cogne? Per capire com'è andata, ognuno dice la sua: il cervello del ragazzino che è esploso, il rapace che gli ha beccato la testa, l'oggetto utilizzato per uccidere che non si trova, il mondo intero che guarda in faccia la madre per scoprire se è pazza o se mente. O Meredith, con tutta quella folla «autorizzata» che attornia il corpo della studentessa, intanto arrestano quel ragazzo di colore che gestisce un pub, e ci vuole un testimone per salvarlo. Poi ne prendono un altro, sempre nero, e gli amanti diabolici, e nessuno sa davvero chi e come, ma le condanne arrivano. Sempre: eppure, pensi, questi sono fatti accaduti due o tre anni fa, mica prima dell'avvento delle nuove tecnologie. Allora sai che non c'è salvezza. Vorresti solo spegnere quel semaforo giallo che hai in testa. Lasci i biglietti sul cruscotto e scendi dalla macchina. Guardi l'acqua e speri di incontrare lì dentro l'assassino.