Quel decreto ripristina la legalità
Siaa Milano che a Roma gli uffici elettorali hanno compiuto due diverse violazioni della legge e delle regole elettorali, rispettivamente a danno della lista Formigoni e di quella del Pdl. Il decreto legge si è reso necessario proprio per ripristinare la legalità; esso è volto a ribadire cosa già dicono le regole vigenti, non a mutarle, ed è pertanto pienamente legittimo. Esattamente il contrario di quanto la propaganda del centrosinistra e tanta parte della stampa hanno rappresentato. A Milano, la lista Formigoni era stata ammessa dall'ufficio elettorale. Poi i radicali hanno presentato un ricorso contro la sua ammissione, laddove la legge prevede solo ricorsi contro l'esclusione di una lista o di un candidato. Ammettendo il ricorso, l'ufficio elettorale ha pertanto violato la legge. Non solo: nel merito ha accolto alcune contestazioni attinenti ad elementi non essenziali per l'autenticazione delle firme (ad esempio: mancanza del timbro tondo del Comune, pur in presenza del timbro rettangolare dell'autenticatore). Al riguardo, le istruzioni per gli uffici elettorali e la giurisprudenza in materia sono chiari, eppure l'applicazione non è uniforme da parte dei diversi uffici elettorali. Ecco la ragione e la legittimità del decreto interpretativo, volto a dettare una volte per tutte criteri certi e univoci. A Roma è stata compiuta una violazione delle regole vigenti ancora più grave: la mancata verbalizzazione della lista del Pdl, laddove le istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature del Ministero dell'interno prescrivono, da sempre, che "il cancelliere non può rifiutarsi di ricevere le liste dei candidati, neppure se le ritenga irregolari o presentate tardivamente". I delegati della lista del Pdl erano entrati nel Tribunale tempestivamente, giungendo davanti alla stanza dove avveniva il deposito delle liste mezz'ora prima della scadenza. Solo la carenza di personale dell'ufficio elettorale li ha costretti a fare la fila, solo la grave e colpevole negligenza da parte dei responsabili dell'ufficio li ha lasciati fuori dalla stanza, senza essere identificati come delegati e senza essere forniti di un preciso numero d'ordine, esposti invece al caos di un corridoio dove sostavano persone del tutto estranee al deposito delle liste. Il delegato della lista del Pdl aveva anche alzato la mano, insieme al altri tre, quando - alle 12,20 - un componente dell'ufficio si è affacciato nel corridoio per chiedere quanti altri delegati dovevano depositare le loro liste. Allora, può essere qualche metro di distanza dalla porta della stanza a determinare l'esclusione della lista Pdl e, comunque, la sua mancata verbalizzazione ? Altro che applicazione delle regole, qui siamo di fronte alla loro patente violazione. La forma è sostanza, sbaglia chi lo nega. Ma la forma non può divenire formalismo irragionevole che nega la sostanza e la finalità della legge (le sottoscrizioni come requisito minimo di rappresentatività di una forza politica); meno che mai può divenire cavillo e pretesto per compiere operazioni politiche di tutt'altra natura. Rispetto della legge e democrazia non sono in contrapposizione. Sono in gioco entrambi in questa incredibile vicenda.