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Fine di una democrazia Dal popolo ai tribunali

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Cosa sta succedendo? È la domanda che si pongono i lettori de Il Tempo che dopo la decisione del Tar del Lazio hanno cominciato a far squillare i telefoni del nostro giornale. La lista del Pdl è di nuovo fuori dalle elezioni regionali, la politica s'è trasformata in una porta girevole impazzita con la magistratura che ha vestito i panni del buttafuori. Cerco di mettere insieme i pezzi del mosaico, usando la razionalità e l'analisi, anche se mi rendo conto che ormai la vicenda sta piombando in pieno clima da psicodramma. È successo che i poteri irresponsabili, quelli che non hanno la loro legittimazione nel voto popolare, se ne infischiano del contesto in cui prendono le decisioni e procedono come bulldozer alla demolizione della politica. La magistratura da tempo in Italia non è più ordine ma un contropotere. Siamo al compimento di un processo di trasformazione delle toghe che è cominciato nel 1992 con la falsa rivoluzione giudiziaria che prese il nome di Mani Pulite. Oggi questa mutazione genetica è completa e ha raggiunto il suo apice con la giustizia amministrativa che si permette il lusso di passare sopra il Quirinale come un rullo compressore. I parrucconi si riuniscono e comunicano al volgo disperso che bolli e timbri sono diventati più importanti del corpo elettorale e del principio della «piena rappresentanza» a cui Giorgio Napolitano s'era richiamato nel firmare il decreto interpretativo proposto dal governo per salvare non una lista, ma la democrazia sostanziale. È un balletto dell'assurdo che fa piombare l'Italia in un racconto di Kafka. Kafkiani sono lo smarrimento e l'angoscia che sento tra i lettori del nostro quotidiano. Con il passare dei giorni, ho capito che stavamo entrando nel clima di tensione assurda mirabilmente raccontato ne «Il processo», il capolavoro dello scrittore praghese. Qui il protagonista del romanzo, Josef K., si ritrova arrestato e accusato da un tribunale per motivi a lui sconosciuti. Nessuno gli spiega che cosa abbia mai combinato. Josef K. cerca di difendersi con un avvocato, ma anche quest'ultimo non gli fornisce alcuna chiave per capire l'oscuro meccanismo in cui è finito. Alla fine il povero Josef K. licenzia il legale ma così facendo rinuncia alla difesa e con un automatismo inesorabile viene condannato a morte. Due uomini uccidono Josef K. con una coltellata e lui chiude la sua esistenza esclamando: «Come un cane!». I dieci capitoli del romanzo sono un crescendo di fatti inspiegabili e angoscia che mi fanno pensare a quanto sta accadendo nelle aule dei tribunali in questi giorni. Qui sotto processo non c'è un solo uomo, ma le istituzioni: i partiti, il governo, il Presidente della Repubblica e il corpo elettorale. I tribunali stanno macinando con fredda lucidità tutto ciò che tiene insieme la nazione e mi stupisce che in pochi si siano accorti della gravità di quanto sta accadendo. La deforestazione del bosco repubblicano per mano giudiziaria è in corso e c'è chi invece di preoccuparsi gode. Somigliano maledettamente all'orchestrina che suona mentre il Titanic sta colando a picco. La sentenza del Tar del Lazio sulla lista del Pdl segue di qualche mese una decisione di un altro collegio che mi era apparso un brutto segnale per i destini del nostro Paese. Quando la Consulta bocciò lo scudo per le alte cariche dello Stato (il cosiddetto Lodo Alfano) nonostante il Quirinale avesse messo nero su bianco che il provvedimento non presentava alcun profilo di incostituzionalità, mi fu chiaro che le magistrature di questo Paese non erano né autonome, né indipendenti, ma irresponsabili. Anche in quel caso infatti la bocciatura investì in pieno il Capo dello Stato. Presi il fattaccio come un segnale di disfacimento della leale collaborazione tra le istituzioni. Non mi sbagliavo. Oggi ci ritroviamo di fronte a un Tribunale amministrativo che ignora una legge dello Stato e se ne fa un baffo dello spirito al quale s'è ispirato il Presidente della Repubblica quando ha firmato il decreto di Palazzo Chigi. La politica ha lasciato un vuoto e i giudici ancora una volta occupano lo spazio e fanno un esproprio istituzionale. Una democrazia che finisce nelle mani della magistratura e non della politica è gravemente malata. É giunto il momento di decidere se curarla con le leggi e le riforme, oppure mandarla al patibolo, circondata dal popolo viola urlante, e farla uccidere a colpi di sentenze.

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