Il vescovo fa politica, la Cei si dissocia
Alice nel paese delle meraviglie insegna che «è impossibile solo se pensi che lo sia». Alice nel paese dei balocchi insegna che è impossibile pensare alla Cei che si infila nelle strettoie delle polemiche sui decreti del governo, solo se pensi di vivere nella nazione che ha insegnato a dare a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio e per noi, laici ultramondani e competenti di Italia e non di anime, a Silvio ciò che è di Silvio. È troppo tempo che la Chiesa e le sue istituzioni secolari vengono strattonate e stropicciate alla bisogna quando una pezza in odor di spiritualità o solidarismo diventa necessaria per dare tono e costume alla propria azione politica. E così, forse sbagliando, ci siamo assuefatti al menar di danza per cui, ogni volta che la Chiesa parla di immigrazione, è il centrosinistra che la sfrutta a capocchia per criticare il governo, e ogni volta che la stessa Chiesa esterna sui temi etici è la volta della maggioranza che si intesta il catechismo a beneficio di supposte battaglie antilaiciste. Certo non si può negare ai vescovi italiani il diritto di dire la loro sui fatti della nazione che è luogo vivo della loro azione pastorale, basta fare il callo ai tentativi di strattonamento e manipolazione politica delle loro dichiarazioni, e si tampona il danno. Ma una Cei occupata a criticare decreti in materia di norme elettorali, a nostra memoria, non la si è mai vista nemmeno ai tempi dei referendum del 1993, in piena crisi del sistema partitico italiano. Invece ieri è successo. Mentre le agenzie, tra un Vendola che sente puzza di fascismo e Di Pietro che bastona Napolitano, battevano che era una bellezza le frasi pronunciate a Radio Vaticana dal monsignore Domenico Mogavero, responsabile degli affari giuridici della Cei, ci siamo chiesti in tanti se il sinodo dei vescovi italiani si fosse improvvisamente trasformato in un centro di studi elettorali di orientamento grillista-metafisico. Mogavero prima ha statuito, come una Bonino qualsiasi, che «cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto», e poi non contento ha precisato, come un Bersani in trasferta a Mazara del Vallo, che abbiamo assistito a «un atteggiamento arrogante della maggioranza». Apriti cielo, a maggior ragione visto che parlava un uomo di Dio. Il popolo viola ha issato la croce, Di Pietro s'è fatto apostolo del vescovo antigovernativo, i residui cattolici del Pd hanno gonfiato il petto di commozione. L'opposizione politica e massmediale, insomma, s'è gettata con la bava alla bocca su un ghiottone ghiottissimo, troppo ghiotto per essere vero. E infatti vero non era, se è vero – ma anche qui, parlando di verità al cospetto di uomini di Chiesa, dobbiamo fare attenzione – che subito dopo la Cei, quella vera, ha stoppato il vescovo esternatore affrettandosi a chiarire che «la Cei non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni» sulle questioni di procedura elettorale (come se noi ci si mettesse a sindacare sulle procedure elettorali del Conclave, per dire). Questo piccolo infortunio, che avrà i suoi doverosi strascichi polemici, segnala che la Cei, questa Cei dell'era Bagnasco, quando la storiaccia dell'affare-Boffo non ha esaurito la sua coda di veleni, vive ancora in uno stato pasticciato di assestamento, ondeggiando tra i pronunciamenti di neutralità politica, le sbandate antigovernative e i residui del dominio di Camillo Ruini, che invece aveva giocato la carta dell'impegno politico-civile della Cei come strategia di sopravvivenza e protagonismo dei cattolici italiani. E guarda un po', sono proprio gli arcinemici del ruinismo, proprio chi accusava Ruini di eccessiva ingerenza negli affari politici italiani, gli stessi che hanno provato a sfruttare senza pensarci due volte le frasi di un vescovo sul decreto salva-liste per farne polvere da sparo nei loro comunicati stampa. Come dire: se i vescovi parlano di fecondazione assistita, fanno ingerenza, se parlano di norme elettorali, no. Assurdità che danno alla Cei una buona ragione in più per evitare, in futuro, gli scivoloni stile Mogavero.