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Adesso Bersani deve scaricare l'ex magistrato

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Ancheallora egli scommise sull'aiuto di post-comunisti, comunisti e simili, che oggi condividono le sue durissime critiche al decreto "salva-liste" ma per fortuna si dissociano dalla sua minaccia d'impeachment del presidente della Repubblica. La vicenda del 1993 riguardò la cosiddetta uscita politica da Tangentopoli, tentata il 5 marzo di quell'anno dal primo governo di Giuliano Amato con un decreto legge che portò il nome del ministro della Giustizia Giovanni Conso. Era già da mesi, in verità, che Amato pensava di imboccare quella strada. Quella volta sembrò che si fossero finalmente create le condizioni adatte ad una soluzione parzialmente "depenalizzata" con la disponibilità dell'allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro a discuterne nei dettagli. Il decreto fu predisposto con gli esperti del Quirinale sin nei minimi dettagli, e fino all'ultimo momento, con numerose interruzioni della seduta del Consiglio dei Ministri convocato per vararne il testo. Le prime reazioni politiche al provvedimento infine approvato non sembrarono molto negative. Persino la Repubblica di Eugenio Scalfari, schieratissima sul fronte giustizialista, pubblicò il giorno dopo un commento agrodolce. Ma scoppiò il finimondo nella Procura di Milano, il cui capo Francesco Saverio Borrelli, tra gli applausi di Di Pietro e degli altri sostituti, diffuse per televisione una dichiarazione di minacciosa ostilità al provvedimento ancora alla firma del capo dello Stato. Che poco dopo annunciò il suo sorprendente rifiuto. Il 13 luglio dell'anno successivo il primo governo di Silvio Berlusconi varò un decreto legge, che portò il nome del guardasigilli Alfredo Biondi, per limitare il ricorso alla carcerazione prima del processo. Persino Scalfaro riconobbe la necessità di porvi rimedio, firmando di corsa il provvedimento correttivo. Ma Di Pietro in persona dalla Procura di Milano protestò minacciando le dimissioni di tutto l'ufficio e facendo breccia su Umberto Bossi, che intimò al ministro leghista dell'Interno, già allora Roberto Maroni, di dissociarsi. Al presidente del Consiglio non rimase che lasciar decadere il decreto, sommariamente liquidato dagli avversari come "salva-ladri". Ora che al Quirinale non c'è trippa per gatti, come si dice a Roma, e l'alleanza di Berlusconi con la Lega funziona eccome, Di Pietro dà via di matto e vorrebbe, poveraccio, tentare un assalto manettaro al Colle. I compagni di merenda lo scarichino davvero, finché sono in tempo. Francesco Damato

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