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Giù le mani da Napolitano

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Giorgio Napolitano

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  Mettiamo subito le cose in chiaro: giù le mani da Giorgio Napolitano, il Capo dello Stato non si tocca. Quello a cui stiamo assistendo in queste ore è un gioco al massacro. Il Presidente della Repubblica ha firmato un decreto del governo, ha spiegato le ragioni politiche e costituzionali della sua decisione, ma un'opposizione immatura e irresponsabile lo sta attaccando ferocemente, arrivando a minacciare l'impeachment. Noi non ci stiamo perché il nostro giornale ha una lunga storia autonoma dai partiti, ma vicina alle istituzioni. Quando il 15 giugno del 1978 il presidente Giovanni Leone fu costretto a dimettersi a seguito dello scandalo Lockheed, Il Tempo, allora diretto con mano salda da Gianni Letta, scrisse: «Non si può ammettere che con l'accusa di non aver pagato la pigione o un debito di gioco, con le «voci», le insinuazioni, le invenzioni si facciano cadere Capi di Stato e Presidenti del Consiglio».   Sono passati trentadue anni ma sembrano parole scolpite oggi nella pietra della cronaca. Di chi erano quelle voci e quelle insinuazioni che poi si rivelarono un buco nell'acqua? Anche qui i protagonisti del passato si proiettano nel presente: il settimanale L'Espresso con la penna di Camilla Cederna e, toh!, Marco Pannella ed Emma Bonino. I radicali furono tra i promotori di quell'attacco a testa bassa verso il Quirinale. Ci misero solo vent'anni a capire che avevano sbagliato. Attesero il novantesimo compleanno del povero Leone, il 3 novembre del 1998, per chiedere pubblicamente scusa al Presidente accusato ingiustamente e costretto a lasciare l'incarico prima della scadenza del settennato. Ricordo questa pagina buia della storia politica italiana per mettere in guardia chi in queste ore sta partecipando all'assalto all'arma bianca contro il Quirinale.   Non c'è il solo Antonio Di Pietro ad agitare la piazza e ad alzare il cappio. Accanto a lui c'è anche quell'opposizione che a parole si professa riformista ma nei fatti si rivela ancora comunista. Per basse ragioni di bottega il Pd sta contribuendo ad avvelenare i pozzi. I cosiddetti democratici s'illudono di poter lucrare politicamente su una vicenda nella quale il Presidente della Repubblica ha scelto limpidamente di stare dalla parte della democrazia. Ho scritto chiaramente che il «pasticciaccio» avrebbe messo in crisi l'equilibrio istituzionale, il valore della rappresentanza e il patto che lega i cittadini allo Stato. Non eravamo di fronte a una questione risolvibile con i timbri e le carte bollate. Qui si giocava una partita contro il corpo elettorale (organo costituzionale dello Stato), la democrazia sostanziale e il buonsenso.   Come si poteva pensare di poter escludere dalla competizione elettorale nel Lazio e in Lombardia il Pdl, il più grande partito italiano? Credevano davvero gli amici radicali e del Pd di poter vincere a tavolino a Roma e per assenza tecnica dell'avversario in Lombardia? Davvero immaginavano di poter aprire i seggi allegramente e di regalare al Paese un'elezione dimezzata che poi sarebbe sfociata in una sinistra stagione dell'incoscienza? Il presidente Napolitano in questa storia è stato il soggetto istituzionale che si è comportato meglio. Ha ascoltato la maggioranza, incoraggiato la saggia regia governativa di Letta e cercato fino all'ultimo di far ragionare l'opposizione.   Il Quirinale in questa occasione ha mostrato come si traduce in politica la «leale collaborazione» tra istituzioni che troppe volte è mancata in questa legislatura. «Una esclusione del Pdl non era sostenibile». Sono le parole del Presidente in risposta alle lettere dei cittadini che chiedevano le ragioni della sua firma al decreto. Parole lucide che sottoscriviamo perché sono state le nostre fin dal primo giorno. Ora assistiamo a un vergognoso tiro al bersaglio contro il Colle. Passeranno vent'anni, ma verrà un giorno in cui tutti i protagonisti dovranno, ancora una volta, chiedere scusa.  

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