Strafalcioni e ignoranza, così i giudici volevano cancellare il voto
Arroganza e ignoranza. I primi responsabili del caos scoppiato nel Lazio sul listino di Renata Polverini e sulla lista del Pdl a Roma sono i magistrati. Perché a rileggere i documenti che hanno costretto addirittura il consiglio dei ministri a sanare tutta la vicenda, emerge che i giudici dell'ufficio elettorale del tribunale di Roma che hanno escluso le due liste hanno compiuto una serie di errori sconcertanti. Frutto, nel migliore dei casi, di leggerezza e ignoranza delle regole dettate dal Ministero dell'Interno. Partiamo dal listino di Renata Polverini, poi riammesso. La sua esclusione è stata motivata dalla mancanza di una firma, quella di Alfredo Pallone, vicecoordinatore del Pdl nel Lazio. In realtà della firma non c'era assolutamente bisogno. Per presentarlo bastava solo quella di Vincenzo Piso. E questo per un motivo molto semplice: il regolamento del ministero dell'interno prevede che serva una procura firmata dal notaio che indica i responsabili degli elenchi dei candidati solo nel caso in cui si tratti «di partiti o gruppi politici che abbiano avuto eletto un proprio rappresentante anche in una sola delle Camere o nel Parlamento europeo o che siano costituiti in gruppo parlamentare anche in una sola delle due Camere nella legislatura in corso». Peccato che il listino Polverini non abbia nessuno di questi requisiti. Cosa che i giudici dell'ufficio elettorale dovevano conoscere. Invece hanno sbagliato clamorosamente, provocando un putiferio. Il secondo errore riguarda l'esclusione della lista del Pdl a Roma. Motivata con il fatto che il delegato del centrodestra Alfredo Milioni a mezzogiorno, termine ultimo per la presentazione, non era presente nell'ufficio elettorale. Una motivazione che ha innescato ricorsi, spiegazioni, interpretazioni e denunce. Perché al rappresentante del Pdl sarebbe stato impedito con la forza di entrare. Ma il dato fondamentale è che i magistrati avrebbero dovuto far entrare comunque il delegato Pdl, anche se in ritardo. Infatti le «Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature» del ministero dell'Interno, prevedono che «il cancelliere non può rifiutarsi di ricevere le liste dei candidati, i relativi allegati e il contrassegno o contrassegni di lista neppure se li ritenga irregolari o se siano presentati tardivamente». Dunque i magistrati hanno compiuto un arbitrio. L'ennesimo.