Una firma per il Pdl

La lista del Pdl a Roma e in provincia non c’è. Defenestrata dal tribunale per colpa di un pasticciaccio brutto sul quale stendiamo un velo pietoso. Ho già scritto che i ciarlatani e gli azzeccagarbugli che si cimentano in politica vanno accompagnati alla porta. Subito. Oggi desidero affrontare con i lettori un altro tema, la vera posta in gioco dietro questa storia, quello della partecipazione democratica. La lista del Pdl nel collegio elettorale della provincia di Roma (la più popolosa d'Italia con oltre 4 milioni di abitanti e 121 comuni) non c’è e mi chiedo: è un bene per la democrazia? La mia risposta è no. L’assenza del simbolo del centrodestra è un macigno che s’abbatte sugli elettori. E forse è il caso di chiedere anche a loro cosa pensano. Ecco perché Il Tempo da oggi promuove una raccolta di firme: «Fateci votare Pdl» è lo slogan di una battaglia di libertà.   È chiaro che un'elezione senza il partito di maggioranza nel Paese, in una regione come il Lazio, si traduce in una gigantesca limitazione della possibilità di scelta. La democrazia, come la nostra Costituzione repubblicana, non si esprime solo nel formalismo giuridico, perché esiste anche una democrazia materiale di cui i partiti e gli elettori sono massima espressione. Qui siamo di fronte a un tema delicatissimo che non può essere eluso ricorrendo soltanto alle formule tecnico-giuridiche e alle norme astratte. Occorre calarsi con umiltà e senso di responsabilità nel contesto di una partita istituzionale molto seria. La lista del Pdl ha le carte in regola per correre alle elezioni? Siamo certi di sì, perché il peso del partito è tale che non ha il problema di raccogliere firme autenticate e presentare candidati. Non stiamo discutendo di un partito che ha taroccato la lista, ma di un ritardo nella sua presentazione che è "una grande leggerezza" (come ha detto con onestà un politico di lungo corso come Ignazio La Russa) non una violazione sistematica e fraudolenta del patto che lega un partito alle istituzioni. Credo che queste considerazioni siano condivise non solo dai lettori de Il Tempo, ma anche da qualsiasi cittadino - di destra o di sinistra, non importa - che applica un minimo di buonsenso alle cose della vita. La candidata del centrodestra, Renata Polverini, deve essere messa nelle condizioni di avere al suo fianco la lista del Pdl. Se così non fosse, ci troveremmo a raccontare una tornata elettorale nella quale tra i due contendenti principali c'è una disparità enorme. La Bonino si presenta sulla linea di partenza con il pieno di benzina, il motore a posto e i meccanici ai box, la Polverini si ritrova con metà serbatoio vuoto, il motore dimezzato in potenza e i meccanici senza gomme di ricambio. Non sarebbe un bello spettacolo. Mi sorprende che il Partito radicale, da sempre impegnato in nobili lotte per la libertà e per la democrazia, non colga questo aspetto per me inquietante della vicenda. Una parte del corpo elettorale si ritrova improvvisamente senza il suo punto di riferimento politico e ideologico, senza poter affermare con la croce sulla scheda la sua adesione al sistema di valori che rappresentano il suo stare nella società, il suo esprimersi e partecipare alla vita pubblica. È questo l'aspetto centrale che in queste ore si vuole evitare accuratamente per non farsi venire il mal di testa: privare un pezzo importante della società italiana di rappresentanza (in una regione seconda solo alla Lombardia per prodotto interno lordo) può essere un piccolo trionfo per i cultori del formalismo giuridico, ma una grande e pesantissima sconfitta per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.   Il Tempo ha raccontato con grande attenzione questa storia, perché ha intuito subito quanto grave e paradossale fosse la situazione che si è poi creata. Siamo di fronte a un problema ben più grande della presentazione di una lista elettorale. Qui è in gioco il valore della rappresentanza, il patto di convivenza tra cittadino e Stato. Per queste ragioni l’appello della Polverini a Giorgio Napolitano è tutt’altro che improprio. Non c’è alcun bisogno di tirare la giacca al Capo dello Stato, sono certo che Napolitano guarda con attenzione lo svolgimento della vicenda per una semplice ragione: la sua storia personale e politica è quella di un uomo che nasce dalla democrazia dei partiti. Si obietta che sul piano formale il Presidente della Repubblica non ha alcun potere in materia. Ancora una volta i profeti del formalismo giuridico dimenticano quel che non fa comodo: esiste quella che gli studiosi della politica chiamano «fisarmonica presidenziale» e Napolitano può suonarla e amplificarne il suono per far sentire la sua voce in quel che viene definito «policy making». Sono inoltre da valutare con estrema precisione i diritti del corpo elettorale (vorrei sommessamente ricordare che parliamo di un organo costituzionale dello Stato), visto che una sua parte consistente potrebbe essere privata di fatto della possibilità di scelta. Mi pare ci siano sufficienti ragioni per affrontare la questione in maniera più seria e meditata di quanto sia stato fatto finora. E credo che per questi motivi un quotidiano con la tradizione e la storia de Il Tempo debba fare bene il suo lavoro: raccontare tutto e schierarsi senza se e senza ma dalla parte di quei cittadini che vogliono poter scegliere il Pdl. Scriveteci, mandate i vostri fax e le vostre email. Noi li pubblicheremo tutti i giorni sul nostro quotidiano. Amiamo la politica, pensiamo sia utile e necessaria. Per questo desideriamo che la competizione tra la Bonino e la Polverini, si svolga bene, correttamente e in condizioni di parità. Poi, vinca il migliore.