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Greenpeace boicotta anche la realtà

I finiti manifesti di Greenpeace

Taroccata la lista della Polverini

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Dici Greenpeace e pensi a epiche, nobilissime battaglie in nome del pianeta Terra. Spedizioni profumate di leggenda: come quella originaria del 1971, quando dodici volontari, i primi apostoli laici della fede ambientalista, si avventurarono a bordo di una carretta da pescatori verso le coste dell'Alaska. Lassù, nell'estremo Nord, un esperimento atomico minacciava l'habitat delle lontre e delle aquile testabianca. Il mito (autoprodotto) vuole che nel viaggio di ritorno gli intrepidi sabotatori abbiano incontrato gli indiani Kwatkiuti, custodi di una profezia sui "Guerrieri dell'arcobaleno", che avrebbero salvato il globo dall'autodistruzione. E anche se qualche sfumatura sarà andata persa nella traduzione dal pellerossa all'inglese, quelli di Greenpeace si sono immedesimati nel ruolo, e da allora hanno cominciato a schiacciare i maròni di un po' tutti i potenti del mondo. Oddio, a volte le cause sono state più che degne, ma non è che la collettività si sia infervorata su questioni come la pesca a strascico. Però nulla lasciava presagire che gli affiliati italiani dei coraggiosi sabotatori di Mururoa, degli speronatori di baleniere e dei primi produttori di frigoriferi anti-ozono si sarebbero distinti per un formidabile tarocco, come neppure i compari delle tre carte a Porta Portese. Accade infatti che Roma sia tappezzata di falsi manifesti della Polverini, iconograficamente identici a quelli ufficiali della candidata del Pdl alla Regione Lazio. Ma la frase che vi appare recita così: «Sicuramente il nucleare a Montalto di Castro e Latina (ma dopo le elezioni)». Una dichiarazione posticcia in grado di confondere i cittadini: la centrale di Montalto produce gas (e sul suo terreno l'Enel ha predisposto pannelli fotovoltaici), Latina è da tempo in dismissione. Spiegano quei bricconi di Greenpeace: «Troppo comodo dirsi favorevoli al nucleare e poi dichiarare che la propria regione ne può fare a meno». E così incasinano i pensieri degli elettori, che non possono stare tutto il santo giorno a decifrare i pensieri dei politici. Se la loro trovata prendesse piede, non sapremmo più come raccapezzarci. E meno male che non siamo in Veneto, dove ci si interroga su cosa fare dei manifesti dell'aspirante consigliere regionale radicale Tinto Brass, quelli dove è scritto "meglio un culo che una faccia da culo". Il regista non è riuscito a raccogliere le firme per entrare in lista. Ora potrà regalarli a quelli di Greenpeace. Alla peggio, ne rovesceranno lo slogan e si divertiranno come pazzi. Stefano Mannucci

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