«Il Pdl è un dono che Berlusconi ha fatto alle generazioni future».

Loripete. Insiste. È un suo pallino. Lei, deputata del Pdl da quasi due anni, è stata assistente personale e consulente a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi. Ogni tanto, parlando del premier, le scappa di chiamarlo «dottore», come fanno tutti i collaboratori più stretti. Poi si corregge: «Dicevo, il presidente...». La Bergamini è così, va sparata per la sua strada. Di tanto in tanto, con l'accento toscano che col tempo s'è affievolito, avverte: «Non è che sono l'esegeta del pensiero berlusconiano, sia chiaro...». Anche perché bisognerebbe specificare del pensiero in quale attimo. «È vero. Il presidente è sempre avanti. Tre passi avanti agli altri. Quando ha pensato il Pdl immaginava quello, di lasciare un vero e proprio dono che si compone di un grande ricambio». Giovani, certamente. Ma par di capire soprattutto donne. «Le donne sono innovazione. Sono entusiasmo, grande entusiasmo. Sono capacità di fare. E sono sottodimensionate, dunque sicuramente un Pdl più aperto alle donne sarà più in sintonia con il Paese». Intanto le donne sono già ampiamente rappresentante nel governo. Come le giudica? «Tutte bravissime». Troppo facile. Esprima un giudizio su ognuna. «No, a questi giochini non partecipo. Penso siano tutte bravissime e tutte abbiano lavorato bene». Mettiamola così: se pensa a un provvedimento di un ministro donna quale le viene in mente per primo. «La riforma della scuola. È stato fatto un lavoro enorme al quale andrebbe associata anche la riforma dell'Università. Se solo immaginiamo quanta diffidenza e quanta cattiveria accolsero i primi passi della Gelmini.... Ecco, mi ha fatto piacere pensare che sia riuscita a far cambiare opinione a molti». Nonostante ciò anche stavolta sono ripartite le solite polemiche sulle liste, veline & C. «Lo so. Ma ormai ci siamo abituati. Non mi spaventa più. Almeno quello...». E che cosa la spaventa? «Spaventa nulla, ma penso che il partito corra dei rischi». Quali? «Uno si chiama Farefuturo. Loro si vantano di essere molto eretici, però attenzione che l'eresia rischia di scivolare nel più classico dei conformismi. La fondazione di Fini ha posizioni ormai largamente di sinistra che spesso provocano solo confusione nell'elettorato». E l'altro? «L'altro è il rischio di quelli che credono che siamo ancora al 1994, come si se fosse imbalsamato lo spirito berlusconiano della prima ora. Sicuramente è stato un momento rivoluzionario, di grande cambiamento con effetti straordinari. Però bisogna anche guardare avanti. Guardare alla situazione attuale. Superare gli schemi attuali anche andando oltre la divisione 70 Forza Italia e 30 An». Quale dovrebbe essere il criterio per il partito del futuro? «Il criterio dovrebbe essere uno solo: chi merita e chi no». Dentro il Pdl in tanti temono la forza degli ex An, più organizzati sul territorio. Potrebbero prendere il sopravvento? «An è sicuramente un partito che ha più struttura e anche più storia. Ma se il criterio è quello che le ho appena detto non capisco qual è la preoccupazione. L'obiettivo è di far crescere una nuova classe dirigente che abbia maggiore radicamento sul territorio. Aggiungerei un terzo rischio. Sul territorio sento troppe poche volte citare il nome di Silvio Berlusconi ed evocare il suo progetto politico. Non vorrei che troppi pensino che il Pdl è loro, il partito è di tutti gli elettori». Scusi, il primo passaggio per la selezione dal basso dovrebbe essere la reintroduzione delle preferenze? «Gli strumenti possono essere tanti e vari. Non ne esiste uno solo. E non esiste nemmeno un solo passaggio. Quando è nata Forza Italia non si pensava nemmeno a presentare le liste per le elezioni amministrative. Nel giugno scorso abbiamo avuto una vittoria clamorosa nel voto locale, strappando anche città e provincie per noi impossibili». Da che cosa dovrebbe ripartire il Pdl in Parlamento? «Da una questione che mi sta particolarmente a cuore avendola vissuta sulla mia pelle: le intercettazioni». L'anno scorso presentò un emendamento che prevedeva l'arresto per i giornalisti che le pubblicano, non è troppo? «Lo chieda a chi s'è ritrovato sui giornali pezzi di conversazioni private che non avevano nulla a che fare con le indagini. Lo chieda. La privacy va considerata non come un vezzo ma come un elemento essenziale dell'identità e della dignità dell'esssere umano. Tanto più con le nuove tecnologie che impongono alle persone una dimensione soltanto pubblica, il privato non esiste più. Proprio per questo il legislatore faccia la massima attenzione affinché venga salvaguardata la sacrosanta dimensione privata delle persone senza la quale si perde l'anima».