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La banda voleva arrivare a Gianfranco e Scajola

Il magistrato Giancarlo Capaldo

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Non poteva non avere coperture. Non era in grado di rimanere seduto sulla sua poltrona senza che fosse «aiutato». Quindi, qualcuno lo deve aver sostenuto, facendo quadrato intorno a lui per evitare di farlo saltare dalla sedia e farlo finire con le manette ai polsi. È la procura di Roma a voler indagare su quest'ipotesi, tanto che sta portando avanti anche un altro filone d'inchiesta per individuare eventuali complici di Nicola Di Girolamo (Pdl). Nei confronti del quale è stato chiesto l'arresto perché coinvolto nella maxi frode da oltre due miliardi di euro. Per gli inquirenti romani, che hanno chiesto e ottenuto l'arresto di 56 personaggi legali alla più grossa frode della storia d'Italia, potrebbe essere stato messo in piedi negli ultimi due anni un vero e proprio sistema di coperture politiche del quale avrebbe beneficiato il senatore Di Girolamo. La magistratura, però, va anche oltre, sostenendo che se c'è stata una copertura per il parlamentare, sarebbe stata organizzata da una componente di Alleanza Nazionale. Il sospetto degli inquirenti di piazzale Clodio è dunque quella che dietro la mancata espulsione di Di Girolamo dal Senato, dopo la richiesta di arresti domiciliari avanzata nel 2008 dalla procura di Roma, ci siano state protezioni. Anche se poi la Giunta per le autorizazioni a procedere diede il via libera all'annullamento della sua elezione, il senatore, eletto nelle file del Pdl per la circoscrizione Europea alle ultime elezioni politiche, è rimasto al suo posto per la mancata attuazione dell'indicazione della Giunta. All'epoca le accuse nei suoi confronti erano quelle di attentato contro i diritti politici dei cittadini e falso. Questo perché Di Girolamo si sarebbe candidato senza essere residente all'estero, cioè a Bruxelles, e che la residenza fornita in Belgio risultava «fittizia». Il giudice per le indagini preliminari romano Aldo Morgigni ha riportato alcune conversazioni che coinvolgono l'imprenditore Gennaro Mokbel: «Inquieta l'esplicito riferimento alle coperture "istituzionali" che sarebbero state promesse e attuate nei confronti del gruppo criminale». All'attenzione gli inquirenti, anche la possibilità che Di Girolamo possa aver beneficiato dell'«aiuto» di esponenti politici e sostenitori di destra. Nelle 1.600 pagine il gip romano riporta inoltre un'intercettazione del 16 aprile del 2008 tra Franco Pugliese, legato alla famiglia della cosca Arena, e Mokbel, chiamato dopo aver parlato con Di Girolamo, nella quale viene fatto il nome del presidente della Camera Gianfranco Fini mentre parlano dell'esito delle elezioni. Conversazione che avvalorerebbe la tesi della procura che la banda aveva intenzione di arrivare a contattare anche i vertici dello Stato. M: «T'ha chiamato Paolo?, m'ha detto ...». P: «Eh, lo so ..ma non basta Paolo». M: «No!! ma io non ci sto ...io sto a fa un cu.. tu 'nsai che ...poi te spiego ...mo ha chiamato Fini ...stamattina ...Fini ...Gianfranco Fini». P: «T'ha chiamato Fini?». M: «Ha chiamato Nicola ..e l'ha convocato ...mo nun se sa quando esce questo ...Fra, pe cui ..io sto come un cogl...in un ufficio ...pieno de persone a Roma». Sempre nello stesso documento, gli indagati fanno riferimento a incontri che volevano organizzare con alcuni politici, di cui Gianluigi Ferretti, ex segretario dell'onorevole Tremaglia, si fa promotore. «In particolare - si legge nell'ordinanza - gli veniva proposto un pranzo o una cena con il senatore Scarabosio che essendo amico di Scajola, probabilmente futuro presidente del Senato, gli potrebbe essere molto utile per i futuri rapporti parlamentari».

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