Ai partiti serve il setaccio

A cosa servono i partiti politici? Ad organizzare il consenso e, attraverso le elezioni, insediare i propri rappresentanti nelle istituzioni. Servono a comporre le fratture sociali, far emergere una trasparente contrapposizione dei gruppi di interesse che si muovono nella società, organizzare la vita democratica. Al di là delle forme che possono assumere, sono praticamente insostituibili. Senza non c’è democrazia ma tirannia. I partiti dovrebbero essere come il setaccio per il cercatore d’oro: separano le pietre senza valore dalle pagliuzze gialle. Offrono un’opportunità ai cittadini onesti, in gamba, animati dalla volontà di servire lo Stato; scartano quelli che invece perseguono altri scopi che spesso sono in conflitto con la nobile arte della politica. I partiti dunque sono uno strumento di selezione della classe dirigente di un Paese. Condividono questo delicato compito con altre istituzioni, come la scuola, le università, le aziende, i centri di ricerca. Non esiste un sistema perfetto e infallibile per formare la classe dirigente. La corruzione va di pari passo con la storia dell’umanità, ma è altrettanto vero che un buon sistema dei partiti è un’ottima diga contro le tentazioni di chi pensa alla politica come fonte d’arricchimento. Possiamo affermare che i partiti italiani oggi siano attrezzati per fare questo lavoro? No. Quelli della Prima Repubblica erano più forti, solidi, radicati, ricchi di cultura politica rispetto a quelli odierni. Ma nonostante queste qualità, non riuscirono a evitare le tangenti, il malaffare, il finanziamento illecito. Partiti deboli, allevano una classe dirigente debole nel migliore dei casi, famelica e corrotta nello scenario peggiore. Il nostro sistema è a un bivio: può decidere di prendere il setaccio e separare le pietre dall’oro, oppure restare immobile e attendere una rovinosa caduta. Non ci piace la caccia alle streghe, non fa parte della nostra cultura, ma è lampante che il problema debba essere affrontato e risolto in fretta. L’opinione pubblica osserva le inchieste della magistratura, sa valutare i casi che la cronaca presenta sotto i suoi occhi con straordinaria lucidità. I cittadini separano molto bene quelli in cui l’azione delle toghe appare strumentale o debole, non supportata da prove schiaccianti, da quelli che espongono un quadro di fatti e comportamenti terribile, umiliante per le istituzioni e la vita democratica. Le candidature non le decidono le procure, la presunzione d’innocenza vale per tutti, ma la politica a sua volta ha ottimi strumenti per capire se un cittadino è in grado di servire lo Stato con onore. E qui torniamo all’organizzazione della politica. Se un partito ha sedi nel territorio, è immerso nella vita delle comunità, non ha nessuna difficoltà a espellere dal suo giro personaggi poco raccomandabili. I partiti devono fare politica, non affari per i ras locali. La procura di Roma ha chiesto l’arresto del senatore del Pdl Nicola Di Girolamo, lui si è proclamato estraneo a tutte le accuse. Le carte raccontano una verità diversa e francamente inquietante. Il Senato dovrà decidere il suo destino. Ma attenzione, qui non è in gioco la carriera di un singolo parlamentare. Quando la magistratura indaga su possibili «coperture politiche», significa che la partita si sta facendo molto pesante e per i partiti è arrivato il momento di prendere in mano il setaccio. Prima che sia troppo tardi.