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Fischi a Bersani

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Il segretario del PD Pierluigi Bersani con la figlia Elisa al Festival di Sanremo

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Non gliene va bene una. Neppure quando vorrebbe, per una sera, mettere da parte la politica e godersi un po' di musica con la figlia. Pierluigi Bersani, leader acciaccato di un partito ancora più acciaccato, non ha trovato pace neppure a Sanremo. Perché quelli della Rai, sabato sera, gli hanno buttato tra i piedi una bomba mica male, tre operai della Fiat di Termini Imerese intervenuti dal palco «diretti» da Maurizio Costanzo. E quando il segretario del Pd ha preso la parola, al teatro Ariston sono arrivate giù valanghe di fischi. Mentre al contrario il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola è stato applaudito. Lì per lì Bersani ha abbozzato addirittura un goffo tentativo di scusa, rivolgendosi a uno spettatore che da qualche fila dietro continuava a criticarlo forse invitandolo a tacere: «Ma me lo ha chiesto lui di parlare», è sbottato indicando Costanzo. Poi, a tarda sera, intervenendo a YouDem.tv, si è difeso così: «Un trappolone? Io non ci credo. Certo il momento poteva essere pensato meglio perché il clima era già surriscaldato dopo le esclusioni dei cantanti e l'intervento era quindi un po' a freddo fuori dal contesto». E a chi gli ha rinfacciato che forse più che a Sanremo dovrebbe dedicarsi a un partito ormai ridotto «alla frutta» ha risposto con un disarmante «se c'è un evento visto da milioni di persone, noi non possiamo sentirci estranei e snob». L'unica difesa è arrivata da Morgan – «non è vero che Bersani è venuto a Sanremo a raccattare voti» – ma forse viste le disavventure del cantante, il leader del Pd vi avrebbe volentieri rinunciato. Quei fischi dell'Ariston, però, sembrano tanto fotografare la situazione in cui si dibattono i Democratici e il loro segretario, alle prese da mesi con errori, guerre interne, figuracce e disavventure (anche giudiziarie). A metterle in fila una dopo l'altra si compone l'immagine di un partito a pezzi, sfaldato, privo di una linea. Si può iniziare dalla partita per le prossime regionali. Con una situazione paradossale: nel Lazio, dove il Pd è la maggioranza uscente, i Democratici non sono riusciti a trovare uno straccio di candidato e alla fine si sono dovuti «accodare» a Emma Bonino. Salvo poi trovarsi i Radicali contro in tutte le altre Regioni.   E pronti anche a sollevare un putiferio contro gli stessi Democratici accusati di non aiutarli nella raccolta delle firme sulle liste. In più la Bonino – politica smaliziata – non fa squadra, gioca in solitaria con continui strappi e costringe il Pd a inseguirla su molti temi. Una strategia che il partito di Bersani sta pagando a caro prezzo, con una emorragia continua di esponenti cattolici. L'ultima è stata la teodem Paola Binetti, assolutamente inconciliabile con le posizioni dei radicali, accolta nella famiglia di Pier Ferdinando Casini. Ma prima di lei se ne erano andati Enzo Carra e Renzo Lusetti, oltre a Francesco Rutelli che ha dato vita a un partito tutto suo. Esodi motivati con il «tradimento» del progetto del Pd da parte dei dirigenti ex Ds, accusati dagli esponenti cattolici di spostarsi sempre più a sinistra. Ma le figuracce del Pd nella scelta dei candidati per le Regionali non si ferma al Lazio. In Puglia le primarie sono finite con la disastrosa sconfitta del candidato di Massimo D'Alema, Francesco Boccia, contro il governatore uscente Nichi Vendola. Quest'ultimo ha rifiutato di ritirarsi, nonostante le pressioni del Pd e – dopo un tira e molla in cui a rimetterci è stata solo l'immagine del partito – alla fine ha vinto. In Calabria le primarie sono state vinte da Agazio Loiero, nonostante anche in questo caso una parte del Pd volesse un altro candidato e in Campania, dopo un lungo braccio di ferro con Antonio Bassolino è passata la candidatura di Enzo De Luca, sindaco di Salerno. Il presidente uscente ha fatto buon viso a cattivo gioco ma non è detto che lo scontro finisca qui. Infine c'è il capitolo inchieste, con il caso clamoroso del sindaco di Bologna Flavio Delbono, costretto a dimettersi otto mesi dopo essere stato eletto perché accusato di truffa, peculato e abuso d'ufficio per una indagine nata dai racconti della sua ex compagna e segretaria Cinzia Cracchi. Una vicenda che ha fornito lo spunto alla candidata del Pdl alla Regione Anna Maria Bernini per un cartellone ironico: «C'è Delbono a Bologna».  

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