Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Marina Ripa di Meana "Nell'abisso per amore"

Marina Ripa di Meana (Foto Pizzi)

  • a
  • a
  • a

Ecco Giorgio De Chirico attraversare Piazza di Spagna. «Lo rivedo mentre con il suo passo affaticato quasi si poggia alla Barcaccia, e procede verso casa, dopo essere uscito dal Caffé Greco, dove occupava sempre il primo tavolo a sinistra, burbero e pacioso. Per strada non c'era tutta la gente di oggi». Un racconto già metafisico, quello di donna Marina. Lei giovane, di radiosa bellezza, affacciata dal suo atelier di stilista sopra Babington's. Ecco Parise, «che accompagnavo a compare le giacche da Battistoni: Goffredo ne storpiava il cognome, ma con bonomia». E Moravia: «Si stava separando dalla Maraini. Lei aveva diviso con un muro l'appartamento di Lungotevere dei Mellini. Gli proposi di venire con me a Venezia alla Biennale. Alberto rispose: "No, lassù è troppo umido". Poi si convinse. L'autista sbagliò strada e finimmo a Milano. Moravia era un po' tirato, con me amava comprare le cravatte, ma solo nei negozietti».   La città degli artisti perduti. Anni Settanta, c'è la scuola romana dei pittori maledetti. «Ero amica di Tano Festa e Mario Schifano, ma in confronto a Franco sembravano personaggi costruiti». Franco Angeli, il demone che la stava trascinando nell'abisso. «Quando passo per via dei Prefetti alzo gli occhi e guardo il suo studio, la nostra soffitta di bohéme. Lui era una specie di dottor Jekyll e Mr. Hyde. Capace di slanci di immensa generosità e subito dopo malmostoso, aggressivo. Ma ero soggiogata dal suo fascino: mi capiva con uno sguardo. Quando gli mancava la droga lo vedevo scarnificarsi con le unghie e rotolarsi per terra. Una scena aberrante. Un conoscente mi disse: vai da questo signore facoltoso e molto noto, troverai i soldi per la cocaina. Con lui mi prostituii per Franco: e persi anche l'assegno. Avevo toccato il fondo, oltre non potevo andare. Però mi divertii, la presi come una smargiassata da ragazza. Angeli era votato a consumare l'esistenza. Sosteneva che non si potesse invecchiare: "A una certa età è tutto molto duro, e diventi cinico". Oggi lui, Tano e Mario sarebbero tre bellissimi professori». La Ripa di Meana sta preparando una mostra di foto di Angeli, che esordirà presto a Cortina. C'è uno scatto dove è una dea abbacinante in microgonna optical fine anni Sessanta, sulla Piazza Rossa. «I sovietici ci arrestarono, per oltraggio al pudore e a Lenin». Trasgressioni. «Non mi sono fatta mancare niente». Ma Lino Jannuzzi, da lei indicato come partner di una torrida liaison clandestina ne "I miei primi quarant'anni", definisce "fregnacce" le scenate al Grand Hotel, tra paralumi buttati in strada e il corpo di madame avvolto in fiori e banconote. «Lino dice questo? È molto elegante da parte sua. Del resto è un uomo sposato, ha una sua discrezione. Altri avrebbero convocato una conferenza stampa per spifferare i particolari. Comunque, la nostra storia fu vera. Anche se un po' colorata nel racconto». Ma l'amore di tutta una vita è Carlo, «che a ottant'anni è esuberante e lucido come un ragazzo». Per convincerlo a sposarla, però, Marina dovette minacciarlo. «Avevamo già fatto le pubblicazioni ma lui non si decideva. In barca in Sardegna, mulinai un remo e gli impartii un ultimatum. Tre mesi dopo, il 30 ottobre '81, eravamo marito e moglie».   Chissà che effetto fa sentire dal consorte che in gioventù si era innamorato di una trans. «Quando lo confermò a un giornalista io stavo per operarmi per la quarta volta di tumore. Mi arrabbiai, trovavo che fosse un momento sbagliato. Poi ne apprezzai il sangue freddo. Avevo sempre saputo di questa trans. Me la fece anche conoscere: la trovai bruttissima. Il loro non era un rapporto mercenario, ma sincera attrazione. Mica come Marrazzo. A proposito: chi paga la scorta con cui l'ex governatore va in giro? Non saremo mica noi cittadini?». La malattia, compagna scomoda. «In famiglia è stata una costante. In tanti mi incoraggiano perché sono una paladina della prevenzione al cancro. Sto bene, e la consapevolezza dà senso ai miei giorni. Mi piacerebbe vivere ancora a lungo, la voglia di fare progetti aiuta». Uno è il libro scritto con Gabriella Mecucci, in uscita tra poche settimane. «Parla di un'altra donna di cui Carlo era perdutamente innamorato. Virtualmente, però. L'aveva solo vista a Forte dei Marmi, quand'era ragazzino. Si tratta di Virginia Agnelli, la mamma dell'Avvocato. Una figura tragica e meravigliosa, che dietro la leggerezza e il libertinaggio denotava gran carattere. Aveva molti amanti, ma trattò con Dollmann per non fare bombardare Roma. Mi somigliava molto: capisco l'infatuazione di mio marito».   I salotti del Terzo Millennio? «Da chi? Da padrone di casa come la Suspisio o la Carraro? Mah. Non voglio apparire nostalgica, ma una volta c'erano le feste nei palazzi principeschi. Accadeva di tutto, ma con stile. Oggi gli scatti di Pizzi hanno svelato il macabro del cafonal. Meglio starsene con pochi amici. Di classe».  

Dai blog