Bertolaso è colpevole di aver deluso i corrotti
Bertolaso è colpevole. Vi è una frase profetica nell’editoriale di ieri. Quella con la quale, per rispondere alla domanda, "a che serve che Bertolaso neghi le accuse?", Mario Sechi afferma che egli è già colpevole e non si rende conto di non avere alcuna possibilità di fronte a un mostro che divora tutto. Chiariamo subito. Non sono d'accordo sull'innocenza di Bertolaso; anzi sono sicuro che egli è totalmente colpevole e che è facile capire perché egli venga attaccato in questi giorni, come peraltro era già avvenuto ai tempi della guerra dei rifiuti in Campania. Bertolaso è colpevole di essere alla guida di una struttura amministrativa che realizza con rapidità inusitata interventi pubblici essenziali, come è avvenuto, dopo il superamento dell'emergenza rifiuti, per le opere urgentissime della ricostruzione dell'Aquila. Bertolaso è colpevole di avere risolto, superando ogni ostacolo, tali drammatiche urgenze, essendo abilitato a seguire procedure semplificate che hanno by-passato un sistema consolidato di ripartizione degli appalti e i sempre possibili intrecci tra imprese, criminalità e sottobosco politico. Intrecci mai individuati con assoluta certezza ma che, tuttavia, condizionano dall'Unità d'Italia in poi la massima parte degli interventi dello Stato nel campo delle opere pubbliche. Bertolaso è colpevole di aver proceduto in modo talmente rapido e deciso da aver impedito l'usuale crescita esponenziale dei costi delle opere e di avere, così facendo, probabilmente disseccato le fonti di finanziamento sulle quali si regge ampia parte del sistema dei poteri forti, più o meno occulti. Bertolaso è colpevole di essere il rappresentante di una linea di governo che tende a rendere virtuoso un sistema operativo troppo complesso nelle maglie del quale si insinuano corruzione e malaffare, che nessuno è riuscito, né forse ha tentato, di scalfire, non potendosi riconoscere all'operazione «mani pulite» un così nobile intento. Si è ripetuto in questi giorni che l'attacco alla Protezione civile è stato scatenato perché si stanno avvicinando le elezioni regionali. Ma, se si tiene presente ciò che si imputa al più noto dei Sottosegretari, è evidente una diversa lettura della vicenda. Era necessario bloccare Bertolaso per stoppare la trasformazione della Protezione civile in spa, che era in dirittura d'arrivo. Impedire, cioè, una riforma organizzativa che avrebbe staccato dal controllo della politica l'azione di emergenza e che l'avrebbe forse consentita anche in assenza di catastrofi naturali. È chiaro, infatti, che se così fosse avvenuto, lo strappo dell'ordinario sistema del finanziamento occulto che ruota attorno alle enormi risorse destinate alle opere e agli interventi pubblici, si sarebbe consolidato ed allargato irrimediabilmente. Ed è questo rischio che non poteva essere in alcun modo accettato dai non meglio definibili poteri forti, tra i quali alcuni appartenenti al mondo della criminalità. L'attacco è stato frontale perché — secondo il tipico cinismo nostrano — Bertolaso ha sì ottenuto qualche risultato, ma non può averlo raggiunto senza aver seguito a sua volta logiche corruttive: sono stati quindi lanciati tre ordini di siluri. Il primo è il plausibile rischio connesso all'ampiezza dei poteri discrezionali di scelta delle imprese private il cui utilizzo è giustificato solo nei casi di assoluta urgenza. Il secondo, è la individuazione di supposti scambi di favore tra le imprese scelte e i dirigenti della Protezione civile. Il terzo, la solita storia di lenzuola. Bertolaso, quindi, non si sorprenda più di tanto e neppure noi ci sorprendiamo nel vedere che i soliti noti giornalisti e qualche ruota impazzita del sistema istituzionale sia complice e perfino attore di un'operazione palesemente mirata a bloccare un progetto di rinnovamento comunque diretto a demolire il più che secolare sistema di collusioni e corruzione che ci colloca al di fuori delle regole della civiltà e della democrazia europea.