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Gravina: io, meneghina, lavoro solo a Roma

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Senon vivessi a Roma, non lavorerei». Va a favore della Capitale la scelta di Vanessa Gravina, attrice finissima e dal prestigioso curriculum, che proprio per la professione che ha scelto, la recitazione ad alto livello, pur essendo nata e vissuta a Milano non ha dubbi nella scelta tra il capoluogo lombardo e la Capitale: «A meno che una persona come me non lavori in pianta stabile con Ronconi o alla Scala, è evidente che si deve vivere e abitare a Roma», spiega Vanessa. «Io sto qui già da dieci anni, da due vi risiedo ufficialmente. Sono affezionata alla Capitale, da ogni punto di vista: professionale ed umano». Quanto al lavoro, la Gravina può ben dirlo che a Roma lavora ottimamente. Il 29 marzo Vanessa porterà in scena ai Musei Traiani un monologo scritto dall'autore Enrico Groppali, dedicato a Francesca Cabrini, religiosa proclamata Santa nel 1946 da Papa Pio XII. Questo nell'ambito di una manifestazione non a caso chiamata «Divinamente Roma», Festival Internazionale della Spiritualità. Subito dopo, ad aprile, l'attrice volerà in America per «Divinamente New York», dove ancora una volta porterà in scena il suo spettacolo. Un ponte Italia-America per cui dire grazie alla Capitale? «Il fatto è che Milano non offre spunti di incontro, di idee, come invece fa Roma», afferma. «Io a Roma sono arrivata quasi per caso e, inizialmente, per ragioni personali: l'amore, un fidanzato speciale di allora, mi ha condotta qui, assieme ad alcune esigenze di lavoro che già avevo. Ma poi qui sono rimasta. Roma è ampollosa, bellissima, solare». E non certo solo in senso climatico. «Una città come la Capitale ti spinge a uscire, ad aprirti agli incontri. E poi ha un grande vantaggio competitivo rispetto a Milano». Quale? «L'accettazione della diversità. A Roma, se sei ospite a una cena o a una serata, puoi portare chiunque: zoppi, handicappati», continua scherzando. «Non troverai mai nessuno che ci faccia caso, nessuno pronto ad emettere sentenze snobistiche. Non c'è giudizio, insomma. Questa è una grande ricchezza: accettare con naturalezza l'«altro» è un patrimonio essenziale. Per questo Roma è, a tutti gli effetti, la mia città di adozione». E Milano? «Inutile negarlo, Milano per me è la città dell'infanzia. Quando ci torno, mi sento nella «mia» città: benché sempre un po' come «L'Etranger» di Albert Camus, con la strana sensazione di essere «transitoria», solo di passaggio. Ogni volta è come se dovessi riaprire un file, fatto di spleen, di percorsi anche dolorosi. In ogni caso - continua - Milano resta sempre un grande centro culturale. Ecco, con quei cieli plumbei tipici del Nord può andar bene per chi scrive, per chi deve realizzare un lavoro di grande introspezione: attività per le quali i luoghi ideali sono, appunto, o il profondo Nord o il profondo Sud. Ma io resto a Roma. Qui non solo lavoro, ma mi diverto come una turista. Ogni minuto per me è una scoperta continua. Un centro storico meraviglioso come quello romano mostra ogni giorno un angolo, una luce nuova: so charming, direbbero gli inglesi. Proprio per questo Roma la vivo così bene: è qualcosa che mi è arrivata, mi è giunta, che non mi sono trovata e non avevo dall'inizio».

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