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L'Istituto Toniolo, l'affaire Boffo e quella velina in troppe mani

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Dino Boffo e Papa Benedetto XVI

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Benedetto XVI lo aveva scritto che anche nella Chiesa c'è un «mordere e divorare». L'occasione era diversa: la lettera riguardo la remissione della scomunica ai lefevbriani. Eppure c'è un sottile filo che unisce le vicende: allora, a Benedetto XVI sfuggì il servizio di Der Spiegel su Williamson. In questi giorni, la rassegna stampa della Segreteria di Stato mancava degli articoli più «duri» riguardo il caso Boffo. Il Papa era comunque informato: legge almeno dieci quotidiani al giorno, era informato dal suo segretario, mons. Georg Gaenswein, e anche dallo stesso Bertone durante i loro incontri. L'affaire Boffo sarà definitivamente chiuso solo nel momento in cui gli atti dell'inchiesta che lo hanno portato a pagare un'ammenda saranno de-segretati. Altrimenti, tutti faranno illazioni. Perché c'è stata una convergenza di più interessi nella vicenda. La storia della velina parte da lontano, ben prima che Bertone venga nominato segretario di Stato. Fogli anonimi che girano all'interno dell'Istituto Toniolo, la cassaforte dell'Università Cattolica, sin da quando comincia l'indagine su Dino Boffo. Il quale, nel frattempo, è diventato membro del Cda del Toniolo. La velina circola, la notizia comincia a trapelare su qualche organo di informazione. Ma non gli viene dato peso. Anche alcuni quotidiani ne ricevono una copia. Come il Corriere della Sera, che non pubblica nulla. Si tratta dello stesso giornale sul quale è stato pubblicato di recente un articolo sul Toniolo «nel quale si legge - dice un addetto ai lavori - un certo sbilanciamento a favore della componente di Tettamanzi». Chi ha portato la velina a Vittorio Feltri, insomma, si sarebbe inserito in un meccanismo che era sempre stato solo interno alle questioni del Toniolo. La tesi che circola è che la carta sia stata passata da qualche membro di Comunione e Liberazione. Non un'operazione pianificata dal vertice: qualcuno, piuttosto, ha deciso di colpire Boffo per dare un segnale, magari perché scottato dalla mancata nomina del cardinal Scola a presidente della Cei, o dall'eventualità di una perdita di influenza nel mondo cattolico con l'avvicinarsi della nomina del nuovo Cda del Toniolo. Colpire Dino Boffo per dare un segnale, sperando di ottenere la direzione del quotidiano dei vescovi (subito è circolato il nome di Gianfranco Fabi per la successione), e allo stesso tempo per dare la possibilità al movimento di occupare gli spazi. «È certo - dice un osservatore interno alla vicenda, che vuole rimanere anonimo - che l'affaire Boffo nasce a livello di bassa macelleria, non certo a partire dai vertici».  Insomma, non una pianificazione strategica, ma un gruppo «più realista del re», e che sa far bene rumore sui media. Un gruppo che si è inserito in un disegno partito da lontano, dall'era Sodano in segreteria di Stato. Bertone e Vian si sono trovati costretti a difendersi, o hanno approfittato della situazione? Forse entrambe le cose. Certo è che l'apporto di Bertone in Segreteria di Stato può essere giudicato solo da quest'anno che il cardinale è riuscito a comporre finalmente il suo gabinetto di fedelissimi, dopo una lunga transizione. Come lunga è la transizione dall'era Ruini a quella Bagnasco nella Cei. Inevitabile e fisiologico, quando si succede a lunghi regni. Riguardo l'affaire Boffo, tutte le piste sono plausibili, e nessuna si esclude l'una con l'altra. «Difficile, in questo momento - spiega un sacerdote - capire chi sta con chi. La cosa che mi ferisce di più è che si parla molto del caso Boffo, e sempre meno del Vangelo».

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