Al via il congresso dell'Idv Di Pietro unico imputato

Non sarà un congresso trionfale per Antonio Di Pietro quello si apre oggi. Il leader dell’Italia dei Valori sarà costretto, per la prima volta da quando è in politica, a difendersi dagli attacchi esterni, ma soprattutto da quelli, ancor più insidiosi, interni. Sotto il tiro di giornali che lo hanno sempre avversato, come Libero e Il Giornale, si è visto messo sotto accusa  da ultimo anche dal Corriere della sera con vistose e clamorose rivelazioni che ripropongono il mistero del suo passato e la domanda di sempre: «Chi ha voluto Mani pulite e che cosa è stato quell'inquietante fenomeno giudiziario, politico e mediatico dominato dall'ex-magistrato molisano?». Ce n'è di che sbizzarrirsi in congetture, elucubrazioni, teoremi e brandelli di verità destinati comunque ad alimentare interrogativi di tutti i tipi e a provocare ulteriore disagio ai dipietristi. L'integerrimo ed implacabile magistrato ha avuto o meno rapporti con i servizi segreti italiani e stranieri? Che ci faceva attovagliato insieme con Contrada nove giorni prima che il funzionario venisse arrestato? E la Cia che ruolo ha avuto nella vita di Di Pietro? Quante domande. Finora nessuna risposta. Neppure quelle più innocenti che era lecito attendersi sulla consistenza e la gestione patrimoniale dell'Italia dei Valori. Misteri dei quali nello stesso partito in molti non ne possono più. In tanti, infatti, lo hanno mollato. Dispotico ed egocentrico, Di Pietro governa l'Idv più o meno come un satrapo, con tanti saluti alla democrazia della quale lui, manco a dirlo, si è autoproclamato inflessibile difensore. Perfino i fiancheggiatori più autorevoli, come il giustizialista già trotzkista Paolo Flores d'Arcais, gli stanno addosso come se fosse un Berlusconi in sedicesimo. E vedono in Luigi De Magistris l'astro nascente di un partito impossibile dato che Di Pietro è per definizione inamovibile avendo costruito il suo soggetto politico come un impenetrabile tempio al quale soltanto lui ha accesso insieme con pochi fedelissimi che gli devono l'esistenza politica, cioè tutto. Flores d'Arcais, qualche mese fa su Micromega, rivista di riferimento del giacobinismo nazionale, pubblicò una vasta inchiesta sulle magagne dell'Idv, su alcuni suoi squalificati esponenti locali, sulla insofferenza di una base spesso in disaccordo con i metodi oligarchici della nomenclatura, sul verticismo fuori controllo che non risponde a nessun organismo. L'inchiesta fece male. E provocò fuoriuscite importanti di parlamentari che non avevano esitato a schierarsi con Di Pietro perlopiù fuggendo da altri partiti per i motivi più vari.   Oggi si lamenta, molto sottovoce, nelle file dell'Idv che il «capo» non ha nessuna strategia, perde spesso e volentieri le staffe (come ha fatto l'altro giorno con una giornalista del Tg1, ma non ci risulta che la Federazione nazionale della stampa l'abbia difesa come era da attendersi), non sopporta neppure i consigli figurarsi le critiche e vede come il fumo negli occhi un qualche Masaniello che gli si contrappone con argomenti perfino più beceri ed estremisti di quelli che usa lui abitualmente quando si scaglia contro gli immorali nemici. Il congresso, probabilmente, non sanerà le lacerazioni, ma neppure offrirà lo spettacolo che, se fosse celebrato liberamente, sarebbe lecito attendersi, vale a dire una diagnosi senza indulgenze dell'insufficienza della proposta politica dell'Idv e sugli esiti del suo estremismo che finirà per consumarlo relegandolo nell'ambito dell'antipolitica dove trovano rifugio tutti coloro che non hanno molto da dire, ma tanto da strillare. E' di questo che si preoccupa, e bisogna dargliene atto, un Flores d'Arcais al quale non sfugge che la cristallizzazione del dipietrismo è la premessa della sconfitta di una forza politica che dovrebbe aspirare a condizionare il Partito democratico. Come, peraltro, è avvenuto finora. Gennaro Malgieri