Tartaglia, Genchi rilancia il complotto
Quando Gioacchino Genchi sale sul palco della sala Michelangelo dell'hotel Marriott di Roma la platea del congresso nazionale dell'Italia dei valori non è ancora al gran completo. Nel parcheggio davanti all'albergo ci sono molti posti vuoti e nella hall i delegati ne approfittano per accreditarsi o prendere un caffè. In prima fila spicca la testa pelata di Marco Rizzo, unico «leader» del centrosinistra ad essere già arrivato. L'ex poliziotto (è sospeso dal servizio per disciplinari) e consulente informatico, finito sotto i riflettori ai tempi della sua collaborazione con Luigi De Magistris, ha il compito di «scaldare» i presenti in attesa del Di Pietro-show. E ci riesce perfettamente. In fondo è facile. Il suo intervento è in gran parte centrato sulla figura di Silvio Berlusconi che da queste parti ha lo stesso effetto della benzina sul fuoco. Genchi ne ripercorre la storia passata e recente. Fino all'aggressione dello scorso dicembre a Piazza Duomo. L'ex poliziotto è fin troppo chiaro: quella scagliata da Massimo Tartaglia fu una «miracolosa statuetta». «Il cui miracolo principale - prosegue - fu quello di salvare Silvio Berlusconi da delle dimissioni che sarebbero state imminenti». Eccolo qua, il complotto è servito. «Io non entro nel merito della dinamica di quell'aggressione - insiste -. Lo stanno facendo tanti giovani che su Youtube si stanno esercitando a vedere quel lancio. A rendersi conto che qualcosa di quel lancio non poteva essere vera». Per Genchi non ci sono dubbi. Quella di piazza Duomo è stata una «pantomima». Al punto che paragona il «fazzolettone nero» di quel 13 dicembre («il presidente sceglie sempre accessori le cui dimensioni sono inversamente proporzionali alla sua altezza»), alla finta «macrospia» ritrovata da Berlusconi nel 1996. «Un farlocco» rilancia. E poi c'è la prognosi di quell'aggressione di cui non si capiscono i danni; il «cerottone enorme» che, quando sparisce, lascia tutto come se non fosse accaduto niente. Con la politica che fa un passo indietro e, invece di destituire il despota, lo rimette sul trono. La sala applaude, ma le parole di Genchi scatenano l'immediata reazione del Pdl che parte all'attacco. E anche l'Idv è costretto a dissociarsi. Il primo a parlare è il capogruppo alla Camera Massimo Donadi: «È grave che Genchi abbia fatto certe affermazioni al congresso di Idv, noi rinnoviamo la nostra ferma condanna del gesto di Tartaglia. Queste tesi fantascientifiche non appartengono alla cultura della giustizia e della legalità di Idv». Poi anche Di Pietro ribadisce che «La teoria del finto attentato mi pare inimmaginabile e fantasiosa. Purtroppo la statuetta in faccia al presidente del Consiglio c'è stata ed è stato un atto grave ed inaccettabile. Credo che sia bene non costruirci teoremi sopra». A questo punto l'ex poliziotto non può far altro che correggere il tiro: «È evidente che il mio intervento è stato totalmente frainteso. Mi riferivo, in realtà, a quanto accaduto immediamente dopo, ovvero, al fatto che la scorta del presidente del Consiglio non abbia provveduto con tempestività ed immediatezza ad allontanare il premier da quella situazione di grave pericolo». Nic. Imb.