Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Ho fatto lacrimare D'Alema nell'aula di Monte Citorio, contestandogli sia l'elezione al Mugello, suppletive 1997, di Di Pietro, sia il suo fantasmagorico proscioglimento sulle tangenti alla sua corrente veneta.

default_image

  • a
  • a
  • a

Ilpm Carlo Nordio, rara figura di togato colto, liberal e garantista, nel 1994, investigando sulle tangenti della Fiat alla corrente veneta facente capo a D'Alema, si trovò davanti il cammino labirintico, sino al fatale insabbiamento di fatto, seguito dai magistrati che l'avevano preceduto. Eppure, la difesa pidiessina era debolissima, puntando a far credere che "la Fiat avesse pagato estero su estero, in due tranches differenti e distanti nel tempo, la somma di 200 milioni per una consulenza mai fatta di un maestro elementare (Renato Morandina, ndr) di Camponogara». Sulle giravolte dei fascicoli, Nordio annotò: «Il pm di Milano, dopo aver contestato al Morandina e al De Piccoli il reato... ha chiesto al gip di Milano, in data 28.9.1994 la proroga... concessa il 20.10.1994. Successivamente, ha inviato alla Procura della Repubblica del Tribunale di Torino l'intero fascicolo processuale per competenza il 25.9.1995». Il pm di Torino fa avere a Nordio, solo il 17 marzo 1996, le carte su Morandina, il maestro post-deamicisiano elettosi «consulente Fiat». Ecco la disperante conclusione di Nordio: «Poiché nel frattempo nessuna attività istruttoria era stata effettuata, questo pm... chiedeva in data 6.11. 1996 la proroga del termine delle indagini preliminari... il gip respingeva la richiesta. E le indagini si sono fermate». Del resto, come sarebbe stato possibile andare sino in fondo sulle tangenti rosse, dopo che i Carabinieri, incaricati della perquisizione alle Botteghe Oscure, non acquisirono la documentazione, limitandosi a sigillare, si fa per dire, l'ufficio amministrativo col nastro adesivo da pacchi? In un successivo accesso della Finanza, infatti, gli armadi furono trovati vuoti. Nordio osservò: «Il fatto è aggravato dalla circostanza che i Carabinieri avevano sospeso la perquisizione, mantenendo in loco la documentazione da acquisire, proprio a seguito delle richieste degli addetti all'ufficio, che avevano lamentato l'impossibilità di lavorare se i vari fascicoli fossero stati trasferiti... presso il pm di Milano, il quale aveva di conseguenza autorizzato il mantenimento della documentazione nella stanza... purché garantita dai sigilli... Sigilli manifestamente violati, giacché... la GdF, in data 22.09.1993, non ha trovato più nulla». L'inchiesta giunge a compimento nel 1998, quando i comunisti sono saldamente al governo. Il pm veneziano, rara avis, essendo garantista, rifiuta la teoria del «non poteva non sapere»; perciò, chiede il rinvio a giudizio per decine di indagati, ma l'archiviazione per i due big. Il gip la rigetta e per competenza trasferisce gli atti a Roma. A quel punto, impedimenti più o meno legittimi seppelliranno, per cinque anni circa, sino al 2004, i faldoni su D'Alema e Occhetto. Dei fascicoli naufragati e dimenticati, Nordio si addossò la responsabilità, che, forse, a scavar bene, non era sua. Roma, poi, decise di prosciogliere, per reati comunque, passati in cavalleria sin dall'inizio. Il Csm, sull'intero tortuoso itinerario, poteva intervenire, per vederci chiaro, ma se ne guardò bene, forse, per non rovinare il paradossale lieto fine: Occhetto e D'Alema, fautori ante litteram del «processo breve», appellatisi alla legge Pinto, furono risarciti con 18 mila euro… per la lunghezza del procedimento. Ebbe ragione Giolitti a dire che con gli amici la legge si interpreta, con gli altri si applica.

Dai blog