Fini conquista i Democrats

MarcelloCampo NEW YORK Chi si occupa di immigrazione in Italia «rifletta» sulla «grandezza del modello americano», in grado di assicurare diritti, integrazione e grande mobilità sociale anche agli stranieri e ai suoi discendenti. Gianfranco Fini, al termine della sua prima visita ufficiale negli States da Presidente della Camera, dopo aver "conquistato" i democratici, trae spunto dalla storia di Nancy Pelosi, nipote di immigrati abruzzesi e oggi Speaker, per lanciare un monito su un tema a lui caro, cioè l'inserimento sociale di chi lascia il proprio paese in cerca di un futuro migliore rispetto a casa nostra. «Il nostro - osserva Fini - è stato per molto tempo un Paese di emigranti, oggi invece è un Paese di immigrazione. Vorrei che chi si occupa del problema in Italia rifletta sul fatto che non solo negli Usa ma in tanti Paesi nel mondo ci sono tante personalità di rilievo nel mondo dell'impresa e della politica che hanno sangue italiano nelle vene». Ormai con Nancy Pelosi, Fini può contare su un feeling personale che va oltre le relazioni istituzionali. La prima donna a guidare la Camera bassa Usa, lo ha ospitato nel suo studio tributandogli il grande onore di regalargli la bandiera issata quel giorno sul punto più alto del Congresso. Un riconoscimento destinato solo agli ospiti d'eccezione. Ma non solo. Da Nancy Pelosi, l'ex leader di An, ha ricevuto una sorta di endorsement: «Caro Presidente sei un uomo del popolo. Sono certa che l'amicizia storica tra gli Stati Uniti e l'Italia già forte, crescerà con la tua leadership». Quindi, ieri, davanti alle telecamere, ha ripetuto il concetto: «La tua leadership è fortemente impegnata nella lotta per la difesa dei diritti civili e dei valori comuni di libertà e democrazia che legano l'Italia agli Stati Uniti. Assieme possiamo lavorare su tanti fronti, dall'economia, alla pace, alla lotta al terrorismo, all'Afghanistan». E di Afganistan, di Cina, ma soprattutto di Iran, Fini ha parlato, appena atterrato a Washington con Joe Biden, il numero due dell'amministrazione Obama. Un incontro lungo più di un'ora, talmente cordiale che, racconta lo staff di Fini, è stato interrotto solo da una simulazione della Casa Bianca in caso di attacco terroristico durante i Giochi Invernali di Vancouver. Al termine del colloquio, Fini ha assicurato che gli Usa hanno apprezzato la posizione del governo italiano nei confronti dell'Iran. Nessun imbarazzo, quindi, nei confronti dell'Eni e delle sue commesse con Teheran. Come ha sottolineato l'Ad Scaroni, ha spiegato Fini, si tratta di contratti vecchi. Ora la rotta è cambiata. Ieri, in serata, dalla Casa Bianca una inusuale nota, in cui insisteva sul «bisogno di una forte cooperazione internazionale per evitare che l'Iran ottenga la capacità di possedere armi nucleari». Parole che hanno fatto pensare a un dibattito ancora aperto tra Usa e Italia. Ma a caldo lo stesso Fini ha chiarito sul nascere che non esiste alcun problema: «Ho trovato in questa nota esattamente quello che ci siamo detti e che ho riferito usando altre parole. Non vedo dissonanze di alcun genere». Ma la visita lampo di Fini ha avuto anche qualche momento più "leggero". Prima dei colloqui con Ban Ki Moon, al quale ha assicurato che senza l'Onu l'emergenza haitiana sarebbe stata ancora più drammatica, si è infatti concesso un passaggio da Vinitaly, la rassegna del vino italiano, in corso al Waldorf Astoria. Là Fini ha incontrato un ristoratore americano che gli ha chiesto, a suo giudizio, cosa dovrebbe fare Obama. «Bere un bel bicchiere di vino italiano», ha risposto sorridente l'ex leader di An. Quindi ad alcuni rappresentanti dei consorzi che hanno organizzato l'importante manifestazione ha esortato a fare sempre più gioco di squadra: «Ho sempre ritenuto sbagliato devolvere alle singole regioni la promozione del turismo come delle proprie produzioni di eccellenza. Non si può andare in ordine sparso. Il mercato globale e la grande concorrenza ci impone di fare sistema e spingere sull'Italia, e l'italian style».