Ciancimino: Dell'Utri legato a Provenzano

PALERMO - Parla con voce ferma di «rapporti diretti» tra il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il boss mafioso Bernardo Provenzano, ma anche di un suggeritore, definito il «grande architetto», che avrebbe «pressato» un altro capomafia, Totò Riina verso la «strategia stragista di Cosa nostra». E ancora del «tradimento» di Provenzano che avrebbe indicato ai Carabinieri come catturare Riina. Dura quasi cinque ore la seconda giornata di deposizione di Massimo Ciancimino al processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano. Massimo Ciancimino spiega il contenuto dei pizzini che il boss Provenzano avrebbe inviato al padre Vito fino a poco prima di morire.Risponde alle domande dei pm anche con troppa dovizia di particolari, fino a spingere il presidente del Tribunale, Mario Fontana, a invitarlo a «essere più stringato nelle risposte». Poi, quando il pm Antonio Ingroia gli mostra uno dei pizzini di Provenzano, in cui si parla del «nostro amico sen.», Ciancimino non ha dubbi nel dare un nome a questa sigla: si tratta, secondo lui, del «senatore Marcello dell'Utri, me lo disse mio padre». Come sarebbe stato sempre il padre, morto nel 2002, a parlargli dei presunti rapporti «diretti» tra il senatore del Pdl e Provenzano. Nel bigliettino, che Ciancimino ha consegnato mesi fa in Procura, il boss scriveva di avere parlato «al nostro amico sen.» di un provvedimento di amnistia che era stato caldeggiato da Vito Ciancimino. «Mio padre - ha spiegato Ciancimino - disse che il senatore era Dell'Utri e che, anche se all'epoca il politico era solo un deputato, Provenzano era solito chiamare tutti senatori». «L'amnistia era un'idea fissa di mio padre - prosegue ancora Ciancimino - lo aveva detto anche al signor Franco (figura dei servizi segreti, ndr.) e al signor Lo Verde (Provenzano, ndr), che certi provvedimenti di clemenza non potevano essere effettuati da un governo di destra, ma di sinistra: diceva che quelli di destra non acconsentivano a questo tipo di leggi». Nel dicembre del 1992 Vito Ciancimino finisce nuovamente in carcere. E ancora una volta il figlio dell'ex sindaco fa il nome di Dell'Utri, che avrebbe sostituito il padre nella presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra. «Mio padre riteneva che fosse una trappola dei carabinieri - racconta Ciancimino - che ormai avevano avuto da Bernardo Provenzano, nostro tramite, le carte utili per giungere all'arresto di Riina. Mio padre diceva che la trattativa stava proseguendo. Mi fece un nome, quello di Marcello Dell'Utri». In un altro pizzino di Provenzano, sempre secondo Massimo Ciancimino, che sostiene ancora di averlo appreso «da mio padre», si parla del presunto interessamento di Dell'Utri e dell'ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro a un provvedimento di clemenza nei confronti dei detenuti mafiosi che avrebbe potuto portare benefici anche all'ex sindaco di Palermo. Nel pizzino, anche questo mostrato dal pm Antonio Ingroia in aula, si legge: «mi è stato detto dal nostro sen. e dal nostro pres., che spingeranno la soluzione delle sue sofferenze». Il sen. sarebbe, quindi, Dell'Utri e il pres. Cuffaro. Nel pizzino si fa riferimento anche ad un avvocato, che secondo Ciancimino sarebbe l'avvocato Antonino Mormino, poi eletto alla Camera nella file di Forza Italia. Nella sua deposizione Massimo Ciancimino parla anche dell'ex Presidente della Camera Luciano Violante: «Mio padre - dice - riteneva essenziale il coinvolgimento dell'onorevole Violante nella trattativa, perchè pensava che fosse l'unico a potergli garantire un trattamento di favore nel procedimento davanti alla sezione misure di prevenzione. Violante, insomma, essendo vicino ai giudici comunisti, in qualche modo poteva garantirgli la salvezza del patrimonio».