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Il Pd rispolvera "i vecchi"

Romano Prodi

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Si chiama, e va di moda adesso, insomma, atteggiamento alla Cassano. Ovvero: io litigo con l'allenatore, vi faccio vedere che senza di me non vincete, mi metto con un broncio distante in tribuna e aspetto di essere richiamato in campo attraverso la mediazione del presidente, con l'allenatore costretto a chinare il cappello di fronte al mio insostituibile talento. Nel tempo andato della politica si chiamava atteggiamento da «riserva della Repubblica». Calcolando i titolari che il Partito democratico schiera oggigiorno, sembra addirittura stretto il ruolo di riserva che si è cucito addosso Romano Prodi, quello a cui hanno incollato la leggenda farlocca di «che per due volte ha sconfitto Berlusconi» e a nulla vale far notare che nel 1996 la Lega era fuori dal centrodestra e nel 2006 l'Unione era un'accolita ingovernabile e in governante di giannizzeri. Prodi non è una riserva, è il lumicino delle speranze del centrosinistra di non riprendere uno storico scoppolone a Bologna. A Zaccheroni i laziali cantavano «tajece er prosciutto», a Prodi i suoi avversari canteranno «tajece la mortadella» epperò, al netto del conto calorico eccessivo, il volto rubicondo del Professore, ancora una volta, per l'ennesima volta, è l'arma letale, il missile nucleare da sparare per far strame degli avversari e riconquistare il placido monopolio delle due Torri. Bologna, occhei, però il problema è più vasto. È la cronica penuria di leader che costringe il Pd ad affidarsi a rincalzi esterni, tipo la Bonino e Vendola, perché non ha più la forza politica ed elettorale di proporre e imporre le sue scelte. E se i lettori potranno dire che scriviamo sempre le stesse cose, agilmente risponderemo che non è colpa mica nostra se i personaggi sono sempre gli stessi, e rispuntano fuori a mo' di quei vecchi carillon a molla dove i pupazzi giravano in cerchio sulla giostra. Romano Prodi sindaco di Bologna? Sai che novità. Da quando l'hanno pensionato, il Prof dalle labbra sottili e il cervello allenato al potere medita di trasformare il suo esilio dottorale nello scranno da cui, con cadenza volutamente lunga, assestare qualche lezioncina ai suoi detronizzatori, in special modo quelli del Pd. E giocare a fare il corteggiatissimo, per un vanitoso come lui, dev'essere più godurioso della torta fritta col culatello mangiata in collina dopo una pedalata. Voi mi cercate, e io mi nego, non mi concedo, vi do buca, caro il mio Bersani. Un po' come Veltroni, che gira attorno alla sua preda, il ritorno in politica, con la scusa di girar programmi a presentare il suo libro approfittandone per dare qualche consiglio all'Italia, a Obama e alla Juventus. Anche Veltroni sogna che il popolo della sinistra, esaurito lo scorno per il fallimento del suo «partito liquido», lo richiami a gran voce spiegando che dopo Walter è stato il nulla, il vuoto, la paralisi, le buche di D'Alema. Prodi aspetta questo momento con intensità ancora maggiore, sapendo bene che la prima regola del corteggiamento in politica vuole che il prezzo di sé, quando sei necessario, salga a quotazioni fuori mercato. Walter e Romano, quadretto del vecchio Ulivo, della stagione della sinistra sorridente, panchinari di lusso per una squadra in campo che annaspa a fondo classifica, scalpitano o non scalpitano? Se serve che riscendano in campo loro, pensa come sta messo male, malissimo, il Pd.

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